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Questa volta Vito, Malavoglia, Moreno e gli altri hanno affrontato un pericolo imprevisto.
Infatti, non hanno solo dovuto lottare contro i loro soliti impulsi alla trasgressione e alla rivincita, contro la tentazione di sistemare le cose facendo tutto da sé, secondo i loro personali progetti o ideali.
Questa volta la realtà della Storia e delle storie si è materializzata nelle ovattate stanze del Caffè Pedrocchi di Padova, storico di suo, con l’irrompere di grida, cori e stridori. Un corteo di manifestanti era giunto a pochi passi dal Municipio e dall’entrata del Caffè ed era scaturito uno scontro con i presidi di polizia.
Impossibile diffondersi, qui, sui motivi della manifestazione e sull’ operato della polizia. Sta di fatto che ci siamo sentiti, all’ interno della storica sala bianca del Pedrocchi, come in un cittadella sotto assedio, con l’impossibilità di uscire; ma anche come in un’isola felice, dove si continuavano a porre domande di un certo spessore e a leggere passi del libro, apparentemente, come se niente fosse, anche se sotto le finestre venivano vibrati colpi di manganello o venivano urlate frasi di rivendicazione di libertà che si affermavano negate. Il regno dei filosofi nella città ideale.
Il mio rapporto, in questi anni, con Padova, una città che prima conoscevo molto poco, è stato certamente influenzato dai vissuti affettivi e dai ricordi di mia moglie, studentessa della facoltà di psicologia in anni “storici”. Lei mi ha condotto per le strade, fisiche e ideali, della città non certo con la neutralità di una guida turistica. Così, via via, i miei occhi hanno rivisto, anche al di là di quanto vissuto, o non vissuto, direttamente, fatti di anni lontani ma storicamente molto importanti, nel bene e nel male, per la città e per l’Italia. In un certo senso, anche quelle grida e quei lampeggianti non facevano che ripetere un déja vu; anche di tante altre città italiane, nuovamente in questi nostri giorni.
Tuttavia ho percepito nettamente che Vito, Malavoglia, Moreno e gli altri del libro “dalla loro parte” non stonavano affatto in quel contesto. Le loro peripezie scaturivano dagli stessi bisogni. Un bisogno di verità che non può spegnersi di fronte ai limiti posti da regole non comprese o proprio non condivise; un bisogno di agire comunque, anche sbagliando spesso o prendendo direzioni financo pericolose; il bisogno morale di rischiare di persona per la propria “causa” invece di attendere passivamente. Tratti comuni, questi, ai miei personaggi o, almeno, a quelli che ho amato e amo di più.
Già durante la “normale” presentazione non è che si fosse rimasti sul piano dell’astrazione, perché tutto ciò che il romanzo ha di reale e di attuale stava già prendendo corpo bene; grazie, soprattutto, agli stimoli del presentatore e agli umori del pubblico, folto e anche molto qualificato. Muovendo dai miei personaggi e dalle loro storie si era giunti a parlare di imputabilità, di maturità degli adolescenti, di ricerca delle origini… Questioni importanti, eccome; ma che, in quel clima da cittadella assediata, andavano a inserirsi come cerchi concentrici (il discorso che faccio sempre nelle presentazioni…) in ambiti più ampi, sì che si toccavano con mano i temi prioritari: come la convivenza sociale sempre più logorata e la mancanza di obiettivi di bene condiviso, in una comunità cittadina e nazionale che fa sempre più fatica a definirsi tale.
Anche i segni dei proiettili sul muro, ricordo delle lotte studentesche anti-austriache che nel 1848, pure al Pedrocchi, avviarono l’epopea risorgimentale, per un attimo hanno perso i contorni del reperto storico e sono divenuti segni freschissimi dell’oggi: quasi un monito sul pericolo insito nelle contrapposizioni, ma anche testimonianza di una scelta ideale irrinunciabile, che sa mettere in conto rischi non compresi nelle nostre frequenti e prosaiche analisi costi-benefici.
Perfino le mie modeste dediche ai lettori ˗ scritte, sino alla fine, sotto una luce fluttuante, fra il bagliore della sala bianca e i riflessi dei lampeggianti dei blindati della polizia ˗ hanno acquistato un significato meno rituale, quasi fossero state messaggi in bottiglia a cui affidare le emozioni, intense, di quei momenti.
Sì, per una volta i miei vissuti hanno trovato un’eco comune con quelli che tante volte avevano percorso strade di una città ancora, per me, sconosciuta. E mi è sembrato quasi che Vito ˗ sì, soprattutto lui con la sua energia giovanile ˗ tra quelle mura ci fosse, idealmente, già stato: nel 1848 e anche dopo, tutte le volte che una lotta per la libertà avesse motivato affetti e ideali di persone come lui, impazienti di verità e di concreta, quotidiana, giustizia.
Coraggio: ecco quello che direi a Vito e a tutti quelli come lui, personaggi o persone. Il cammino è davvero difficile, ma altri hanno già provato, prima di voi, a mettere dei sassolini per segnare il percorso.
Secondo me ci sono riusciti.