In questo tempo di pandemia (qualcuno dice sospeso, altri bloccato) le nostre giornate sono percorse da discorsi ricorrenti, in cui ciascuno ha punti di riferimento diversi, a seconda del proprio ambiente di vita e del proprio  ambito culturale.

Le tematiche sono però  sempre quelle: la realtà che ci circonda e ci impaurisce, descritta, analizzata, discussa o negata.  I nostri comportamenti ricorrenti in situazioni di pericolo comune o diffuso.

La resistenza  e le azioni di coraggio di fronte alla minaccia di perdere sicurezze  o, in qualche caso, anche le nostre stesse radici.

La necessità, al contrario, per alcuni di andare, di allontanarsi dalle proprie  case per poter conservare da lontano la speranza, il ricordo e per poter aiutare gli altri che restano, mantenere la propria cultura , per potersi dire in qualche modo ancora vivi.

La nostalgia per ciò che non hai mai conosciuto davvero, ma che penseresti possibile e realizzabile solo se la vita e il mondo fossero diversi …

Ho voluto anch’io far riferimento a questi argomenti, cercando di allargare un po’ l’orizzonte al di là dei riferimenti quotidiani. In questo caleidoscopio di pensieri , parole e immagini che vengono da tempi, mondi ed esperienze diverse, si inseriscono timidamente anche alcune parole, alcune righe dei miei libri. Semplicemente,  si aggiungono ad altre di più autorevoli compagni di letteratura, danno anche loro vita a pensieri  di tante donne  e uomini di ieri e di oggi.     Dare voce a queste parole vuole essere un augurio per il nuovo anno, un augurio di tempo per studiare e  pensare, di discernimento nell’agire, di coraggio nel buttare il cuore oltre l’ostacolo. Buon anno!

Buon ascolto e buona lettura!

 

 

 

Negazionismo  ( capXXXI  Promessi sposi, A. Manzoni)

Negare è un meccanismo difensivo, un’esperienza di ieri e di oggi,ma ci difende davvero?

C’era, del resto, un certo numero di persone non ancora persuase che questa peste ci fosse. E perché, tanto nel lazzaretto, come per la città, alcuni pur ne guarivano,  “si diceva dalla plebe, et ancora da molti medici partiali, non essere vera peste, perché tutti sarebbero morti”.

Per levare ogni dubbio, trovò il tribunale della sanità un espediente proporzionato al bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi potevano richiederlo o suggerirlo. In una delle feste della Pentecoste, usavano i cittadini di concorrere al cimitero di San Gregorio, fuori di Porta Orientale, a pregar per i morti dell’altro contagio, ch’eran sepolti là; e, prendendo dalla divozione opportunità di divertimento e di spettacolo, ci andavano, ognuno più in gala che potesse.

Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, alla gente a cavallo, e a piedi, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza…

La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno più; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla .…In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo.      Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.

Non è, credo, necessario d’esser molto versato nella storia dell’idee e delle parole, per vedere che molte hanno fatto un simil corso.. Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.     Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire

 

Resistenza ( cap. IX-X Resto qui, M. Balzano)

La resistenza di un paese, che verrà sommerso per la costruzione di una diga a vantaggio di una  grande industria, senza che gli abitanti possano partecipare  ai vantaggi, ma nemmeno alle decisioni. E senza che i loro  bisogni siano compresi, sotto il regime dittatoriale  come  nella democrazia per cui hanno lottato.

Qualche giorno più tardi, alle luci dell’alba gli stessi contadini  riuscirono a scavalcare il posto di blocco.. I carabinieri spararono in aria, ma lo stesso i quattro correvano e si lanciavano addosso ai manovali come chi è disposto a morire. Li disarmarono , gli misero i piedi in faccia e i contadini restarono immobilizzati sotto gli scarponi. Rossi di terra e di vergogna .… Finalmente la gente gridava, la gente piangeva,la gente era uscita per strada a guardarsi in faccia. Finalmente la gente era degna di questo nome e almeno per quel giorno nessuno pensava per sé, nessuno aveva fretta di rientrare, nessuno aveva un altro  posto dove voleva essere, perché con lui c’erano le donne, i figli, gli animali, gli uomini con cui era cresciuto anche quando non gli avevano rivolto la parola,anche quando aveva fatto scelte contrarie alle sue … – Quei bastardi hanno chiuso le paratoie senza avvisarci-disse Erich.  -Andiamo a Resia, ordinò il parroco. Ci mettemmo in fila. Eravamo più di duecento. Giovani e vecchi. Uomini e donne. Per strada qualcuno intonava cori, qualcun altro piangeva, qualcun altro strillava. Arrivammo a Resia nel pomeriggio e quando in lontananza scorgemmo due ingegneri  della Montecatini, quelli  rimasero paralizzati, poi, vedendo che eravamo un esercito, accelerarono il passo e alla fine si misero a correre come ladri di polli verso la casa di un carabiniere di cui gridavano il nome. I ragazzi lasciarono il gruppo per inseguirli. Noi gridavamo “miserabili”. I ragazzi afferrarono gli ingegneri e li spinsero verso la folla che in un attimo li circondò.  – Avete chiuso le porte della diga? Chiese padre Alfred in quel silenzio pronto a esplodere.   – Non abbiamo potuto avvisarvi dissero impacciati col fiato in gola. Arrivarono ad alta velocità due macchine dei carabinieri. Inchiodarono a pochi passi da noi. Scesero con le pistole in aria, si fecero largo tra la folla, gli ingegneri immediatamente si nascosero dietro di loro, che li misero al sicuro dentro l’automobile, mentre molti di noi non smettevano di insultarli. Poi si diressero decisi verso padre Alfred. Gli bloccarono i polsi e lo spinsero come si spingono i delinquenti sulla seconda macchina …Ad agosto vennero a mettere le croci sulle case che avrebbero fatto saltare con il tritolo ….

L’acqua ci ha messo quasi un anno a ricoprire tutto . E’ salita incessantemente fino a metà della torre, che da allora svetta come il busto di un naufrago sull’acqua increspata.

Disillusione ( cap. II  La peste, A. Camus)

Non sempre la razionalità riesce a prevalere, tanto meno quando tutti sono minacciati da un nemico invisibile, che ci si prova  ad affrontare lamentandosi e impedendosi di vedere la realtà

 I sieri non arrivavano. “Tanto chissà se servirebbero”, si domandava  Rieux,”è un bacillo strano questo”. “Ah, non sono d’accordo, quegli animaletti hanno sempre un aria speciale, ma alla fine sono tutti uguali”…

Se l’epidemia non si fermava da sé, non sarebbero state certo le misure prese dall’amministrazione a sconfiggerla … Ma dopo che chiusero le porte, tutti si resero conto di essere sulla stessa barca, compreso il narratore, e se ne fecero una ragione.

Così per esempio un sentimento privato quale la separazione da una persona cara divenne improvvisamente, sin dalle prime settimane, quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio.

Quasi tutti erano sensibili a ciò che interferiva con le loro  abitudini o toccava i loro interessi.  Ne provavano fastidio e irritazione e non sono questi sentimenti che è possibile contrapporre alla peste. La loro prima reazione fu di prendersela con la pubblica amministrazione.   La domanda era “ Non si può prevedere un alleggerimento delle misure adottate?” l’annuncio che nella prima settimana si erano toccati i  trecentodue morti, rimaneva infatti qualcosa di astratto.

 

Destino  (cap. Ḗ a Kayes..Esodo, D. Quirico)

L’inchiesta  parte dai villaggi più poveri del Mali, da dove quotidianamente si parte per ingrossare le file di un esodo che pare infinito, doloroso,ma necessario e apparentemente ineludibile. Lasciare la casa per difendere casa.

E’ gentile Nyang, ma nei suoi occhi c’è una languida ostilità; non appartiene al  nostro stesso mondo quel viso, noi per lui siamo al riparo dal dolore, dalla tragedia, dalla miseria. “La migrazione è una religione per noi. Siamo tutti migranti, la nostra vita è la migrazione. Perché studiamo francese a scuola? Per migrare. Perché lavoriamo come bestie? Per avere i soldi per migrare. Tutto il poco che abbiamo in Mali, questo paese disperato, è pagato dai migranti …Puoi raccontare tutto questo, l’orrore, le umiliazioni, i morti, mille e mille volte, ti guardano e dicono: la verità è che hai avuto paura per questo cerchi di convincerci.E’ arrivata la notizia che uno di noi era morto e due giorni dopo i fratelli hanno vuotato lo zainetto di scuola e sono partiti con la benedizione dei genitori…Partirà il primogenito scelto dalla famiglia, dal villaggio, perché sanno che i soldi torneranno qui. Il deserto avanza, senza la migrazione oggi saremmo già morti, tutto quello che abbiamo nel villaggio, l’acqua e la scuola lo dobbiamo ai migranti. Come potete dire che è una follia? È il nostro destino” ….

Accompagniamo al villaggio Drissa che torna da Parigi, espulso, dopo essere stato per quattordici anni un sans papier. In quattordici anni non è mai tornato a casa, trova  figli grandi, tanti del villaggio non ci sono più, morti o partiti …Drissa adesso è nel suo villaggio, tutto quello che è stata la sua vita per quattordici anni, muratore e manovale in imprese di pulizie, Parigi, quello per cui ha lottato con tanto accanimento è stato lasciato indietro…

Ora sembra che Drissa abbia tutta la vita davanti per assaporare la sua delusione. Ha tentato, è arrivato dall’altra parte del mare, la casa che ha cercato di costruire, non più in bankò ma in cemento, si è fermata al primo piano.  Ma un giorno, forse subito, ripartirà. Che cosa ci sta a fare qui? Qui è tutto morto. E gli altri lo sanno e lo ammirano per questo.

E’ questa una causa degna della loro devozione.

 

Riflessioni sulla vita e sulla morte (cap.Venerdì santo, Messa alla prova, E. Tomaselli )

Il magistrato Malavoglia si è trovato, non proprio per caso, a partecipare a una processione del venerdì santo nel suo quartiere. Lì, ha trovato  in carne e ossa quasi tutti  i protagonisti dei suoi fascicoli, con loro, in una atmosfera un po’ irreale, ha condiviso interrogativi ed emozioni.

A casa, quella notte, Malavoglia dormì ancora meno del solito; ma, nel suo vagare per le stanze come alla rincorsa di una logica inafferrabile, era più sereno.

La storia di Pasqua, metafora della vita, ruota, per come la vedeva lui (adesso gli sembrava di avere le idee più chiare), sempre attorno allo stesso punto. La morte riguarda tutto ciò che è umano, tant’è che l’ingiustizia degli uomini ha fatto fuori anche Gesù, il dio incarnatosi, e tocca a noi distinguere fra il male e l’ingiusto, che dovrebbero essere spazzati via come il loglio e non ricomparire mai più, e il buono-bello-giusto, che se ne vanno anche loro ma, nel contempo, dovrebbero rimanere in qualche modo fra ˗ e per ˗ chi resta, come se fossero anime, angeli, spiriti buoni che indicano la strada.

In quella notte si erano riuniti materialmente o idealmente tutti i fantasmi, con le ossessioni, della sua vita. ….La vita gli aveva fatto masticare amaro (a lui come a tutti; a taluni anche molto di più) e così aveva finito per isolarsi nella sovrastruttura letteraria che gli avevano cacciato in testa da giovane, e che da lì non si era più mossa.. .

Ma ormai si era convinto ˗ la vicenda di Vito e le emozioni esplosive di quella notte glielo avevano, via via, confermato ˗ che qualcosa di positivo sarebbe rimasto, oltre la fine delle prove e della vita stessa. Le anime si sarebbero staccate dai corpi, ma era lo stesso meccanismo dei pensieri dei ragazzi che volano via per essere sostituiti da altri pensieri: come adulti, genitori, vecchi. Rimaneva, comunque, qualcosa che, come un lume, avrebbe illuminato la strada, per buia e impervia che fosse. Sicuramente lo dicono già i preti; ma se quattro gatti scombinati hanno comunque la forza e la speranza per trovarsi una sera che è brutto e andare dietro a qualcosa, forse dietro l’angolo della strada ˗ dove aveva girato la processione e alla fine era arrivato anche lui ˗ c’è già Dio o, almeno, qualcosa per cui vale la pena di vivere e di aver vissuto.

Aveva sempre fantasticato che nella casa bianca, chiusa da sempre, all’angolo con la sede vetero-marxista ci potesse essere, nascosto, un latitante e l’aveva proprio pensato quando aveva visto, sola alla fermata del bus là davanti, una signora araba con un valigione enorme, come quel trolley dove anni prima avevano trovato nascosto, in Spagna, un bambino marocchino …

Ma ora riusciva a pensare e sperare che ciò che, realmente, latitava di più ˗ una democrazia vera e compiuta, per tutte le persone, di ogni età ˗ avrebbe potuto essere meglio protetto e preservato se fosse finalmente uscito da là dentro. Anche nascosto in un bagaglio ingombrante, che si sarebbe fatto uscire e viaggiare con la collaborazione delle donne: come la signora alla fermata, come in una nuova, autentica, Primavera Araba, com’era stato nella Resistenza… E, così, anche qualche magistrato come lui o il signore con l’ombrello ˗ prigioniero del passato e dei fantasmi della gioventù, della libertà e della democrazia ˗ avrebbe potuto uscire allo scoperto, girare per case, chiese e tribunali …

Malavoglia capì, svegliandosi, che qualcuno lo cercava, lo voleva con insistenza, quasi con ardore e calore. Ma non doveva essere né  un’anima né, tanto meno, Dio. Afferrò il cellulare del turno.  «Buongiorno, dottore! Sono il vicebrigadiere Cangemi » «…Non avendo ricevuto la sua chiamata ieri sera, abbiamo ritenuto opportuno attendere, per non disturbarla, fino al mattino seguente, intendesi le sei odierne. Le riassumo i termini della vicenda …».

 

Paura del futuro ( cap. Fine corsa, Un anno strano, E. Tomaselli)

Romy a quasi diciassette anni ne ha già passate tante, è sempre in fuga e sempre alla ricerca. Le sembra in fondo di avere sogni semplici, ma tutto sembra allontanarsi e complicarsi sempre più.

Era inutile pensare al futuro. E’ come un mostro marino che finisce sempre per ingoiarti perché tu, una volta che sei in mare, sei in balia sua, non c’è scampo. Lei, nel mare ce l’avevano gettata già da tanto tempo. Finora era riuscita, almeno, a non affogare ma sarebbe stato meglio crepare prima visto che, adesso,  arrivava lui e sarebbe finita nel modo peggiore. Fare fuori Francis  era una cosa che non c’entrava con il futuro. Era un atto di giustizia da compiere subito, al più presto, almeno avrebbero strappato alla loro vita da schifo qualcosa che essa non avrebbe mai potuto riprendersi. Ne sarebbero rimasti padroni, quali che sarebbero stati il loro destino e il loro tempo.

La speranza, ormai, si era ridotta a quello, si era rimpicciolita a quella macchinetta  dove si stava appena in due. Che fregatura. Specie ripensando a quando, ne aveva avuta: l’inizio della storia con Said, la fuga dall’ospedale, quella dopo la rapina in banca, l’evasione dal carcere….Nella giustizia qualcuno buono l’aveva incontrato, soprattutto il vecchio che quasi avevano arrestato con lei.    Ma era gente che remava al servizio di una grande nave che tirava dritto sempre, e l’aveva fatta finire in galera. Le ultime volte che aveva sognato qualcosa davvero, come i sogni che fa una bambina, erano state nel buio: vicino al grande fiume, guardando la luna e le stelle, nella tana del brigante e in quell’altra tana che era la chiesina nascosta in mezzo alle case.

Sì, aveva capito anche lei che erano prigionieri di una rete immensa e invisibile.  Proprio come i pesci finiti nelle reti a strascico.  Pesci che si dibattono, continuano a dibattersi, ma il loro destino è quello, non c’è niente da fare. Così era anche per loro, che pure si erano sbattuti alla morte, avevano combinato casini all’infinito …

Said aveva attraversato migliaia di chilometri, attraversato il mare, e adesso era lì, buttato sull’erba, un corpo che si dibatteva in rantoli di rabbia impotente, ma in fondo ormai rassegnato ad essere preso dal primo che passava e ad essere infilato in una cassa, con tutto ciò per cui si era tanto battuto.   Che non erano i soldi e le pistole, ma i suoi sogni e il loro futuro.

Ma proprio perché aveva capito, lei si ribellava con una rabbia che  non era mai stata così grande e così cupa.

 

 

Ma qualche motivo di speranza, anche al di là dei romanzi, arriva comunque se, come cerco di fare sempre, si esercita la fantasia partendo dalla realtà della vita, individuale e non solo. Una dimensione che fa dire e agire, ad esempio, così…

 

Alla mia età non dovrei pensarci troppo, anche perché la vita ti scarica addosso quello che vuole lei. Qualche volta, però, mi viene voglia di sfidarlo, questo futuro, e di andarlo a scoprire nonostante tutto e tutti. Come voler sfidare il mare con una barchetta fregandosene dei venti contrari. Colombo, in fondo, era un testone con tre bagnarole in mezzo a un oceano sconosciuto… 

… Qualcosa avrebbe dovuto cambiare se il mondo non voleva continuare a galoppare verso la catastrofe.   Così aveva cominciato a scrivere favole …. Le favole sarebbero state il suo testamento e, soprattutto, il suo contributo, ancorché minimo, a un futuro che per essere meno sconsolante del presente richiedeva pulizia, onestà e fantasia …

Con un augurio sentito agli uomini di buona volontà di riuscire a contribuire a costruire  pulizia e onestà per quest’anno appena iniziato, anche grazie alla fantasia!