Anche quest’anno, a causa della pandemia, il 25 aprile vedrà pochissime persone in piazza e nei luoghi del ricordo, ma tantissime iniziative on line di associazioni, anche giovanili, impegnate nella staffetta  della memoria. Dimenticare  o trascurare questa data significa rinnegare la nostra stessa condizione di oggi, ma proprio per questo la riflessione deve subito andare oltre: la libertà che ci è stata affidata ha ancora tanto bisogno di cure e di attenzioni. Anche  di essere conosciuta meglio nel suo  vero significato, visto che, proprio in questo periodo,  a sentire le voci correnti, sembra  essere identificata quasi esclusivamente nel diritto del singolo ad avere vita sociale di aggregazione, anche quando il diritto alla salute e alla vita di tutti richiederebbe più attenzione e più rispetto.

Scorrere e ascoltare le pagine di qualche testo  potrebbe aiutare nella riflessione, partendo dai protagonisti fino a noi.

Il ricordo di una protagonista  della lotta partigiana e dei giorni della liberazione, accompagnato dalle considerazioni,  un po’ amare, di chi, dopo tante fatiche, sperava di raggiungere esiti più  duraturi di cambiamento .

 

“Non mi è mai importato niente di pellicce: l’unica che mi è piaciuta portare, l’unica che avrei voluto, l’unica che ho sentito mia, Ivano non me l’ha voluta regalare e ora l’ha buttata via. Me l’ha imprestata per l’occupazione di Torino, era di pelle di agnello bianca, presa a un tedesco in Russia durante la ritirata.   La notte della liberazione di Torino, Ivano mi dice: “Marisa mettiti tu per prima, tu che non sei armata, tieni la pelliccia spalancata con tutte e due le mani: sei un buon bersaglio. Ti vedono e ti sparano, noi spariamo subito”.

Ero una nuvola, un angelo, io difendevo la vita degli altri, io senz’armi, prima in una fila di compagni con grandi ali bianche di pelli di agnello.

E’ tutto strano in una città in cui si combatte:in un negozio donne fanno la fila per il cibo, pochi metri più in là si spara. Per un poco  una piazza è un campo di guerra e conquistarla è un’impresa. Beppe combatte in via Asti e quando liberano i prigionieri dalle  celle di tortura non si accorge che tra loro c’è sua sorella. In via s. Teresa si sta svolgendo una battaglia , ragazze con un bracciale bianco e una croce rossa vanno a raccogliere i feriti con noncuranza del pericolo, come se quel segno sul braccio le rendesse invisibili.

E poi è finito tutto.    Non ho preso i pidocchi in banda, non ho usato armi, non ho messo al collo il fazzoletto verde, non ho visto le battaglie, solo tutti i morti, dopo.

Il mondo non è diventato meraviglioso a un tratto, non è cambiato come noi pensavamo, forse per colpa nostra o forse no. Ci siamo ritrovati con la nostra gioventù distrutta per sempre, abbiamo dovuto continuare a fare scelte, a percorrere chilometri con ansie e paure, a passare posti di blocco.

Forse ci accompagnano sempre le speranze e i coraggi di   allora.

    Marisa Sacco, La pelliccia di agnello bianco

 

 

 Già nelle parole di Piero Calamandrei si coglieva l’ansia di un futuro capace di mantenere vivi i presupposti ideali che hanno ispirato la Costituzione, mettendola al riparo da rischi sempre presenti i rendendola indiscutibile nelle sue premesse di diritto.

“C’è nelle disposizioni transitorie del progetto un articolo che proibisce la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista. Non so perché questa disposizione sia stata messa tra le transitorie: evidentemente può essere transitorio il nome fascismo, ma voi capite che non si troveranno certamente partiti che siano così ingenui da adottare di nuovo pubblicamente il nome fascista per farsi sciogliere dalla polizia.

Se questa disposizione deve avere un significato, essa deve essere collocata non tra le disposizioni transitorie e non deve limitarsi a proibire un nome, ma deve definire cosa c’è sotto a quel nome, quali sono i caratteri che un partito deve avere per non cadere sotto quella denominazione e per corrispondere invece ai requisiti che i partiti devono avere in una Costituzione democratica.

Sarà l’organizzazione paramilitare, sarà il programma di violenze contrarie al diritto di libertà, sarà la negazione dei diritti delle minoranze:questi e altri sono i caratteri che la nostra Costituzione deve bandire dai partiti.[…]

C’è poi nella Costituzione un articolo 131 che dice ”la forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Ora se la nostra Costituzione ha votato l’immutabilità per la forma repubblicana, credo che dovrà adottare questa stessa misura anche  a fortiori per le norme relative ai diritti di libertà.

Nelle Costituzioni nate alla fine del secolo XVIII i diritti di libertà erano affermati come preesistenti alla stessa Costituzione, diritti che nessuna volontà umana, né a maggioranza né all’unanimità poteva sopprimere, perché derivanti da una ragione profonda che è la natura stessa dell’uomo”

     Piero Calamandrei, Chiarezza nella Costituzione

 

 

  La lotta e gli ideali che hanno ispirato la Carta costituzionale non ci hanno messo ovviamente al riparo una volta per tutte, soprattutto quando alcuni “vizi” ci  mettono sempre a rischio o quando le strutture del potere mettono alla prova le dinamiche che dovrebbero essere proprie di una democrazia.

In pratica le cose in Italia non cambiano mai, cambiano i nomi e le occasioni della storia, ma, in definitiva,  i nostri mali e i nostri vizi rimangono sempre desolatamente uguali”.

    Piero Gobetti,  La rivoluzione liberale 

 

“Che la permanenza delle oligarchie, o delle élites al potere, sia in contrasto con gli ideali democratici è fuori discussione. Ciò non toglie che vi sia pur sempre una sostanziale differenza tra un sistema politico in cui vi sono più élites in concorrenza tra loro nell’arena elettorale e un sistema in cui esiste un solo gruppo di potere che si rinnova per cooptazione. Mentre la presenza di un potere invisibile corrompe la democrazia, l’esistenza di gruppi di potere che si avvicendano mediante libere elezioni resta, almeno sino ad ora, l’unica forma in cui la democrazia ha trovato la sua concreta attuazione.  Non altrimenti accade nei riguardi dei limiti che l’uso delle procedure proprie della democrazia ha incontrato nell’estensione verso centri di potere tradizionalmente autocratici, come l’impresa o l’apparato burocratico: si tratta, più che di un fallimento, di un mancato sviluppo”.

     Norberto  Bobbio, Eguaglianza e libertà

 

La Resistenza è del resto nel dibattito culturale ancora fattore non unificante: di qui il rischio di appropriazioni o riletture che la trasformano in un cimelio, da celebrare o combattere, e non in un momento vitale della storia recente, che può ancora suggerirci molto, nelle analisi e nelle scelte politiche che ci stanno davanti.

“La messa in discussione della Resistenza come valore unificante   porta a un progressivo sfumare dell’intera questione del rapporto dell’Italia ai tempi della lotta partigiana e l’Italia odierna. Il tema, dopo aver avuto pesanti attacchi e revisioni  da parte soprattutto di un mondo politico che non ha saputo o voluto accompagnare la rilettura di una parte fondamentale della storia del paese, è stato dimenticato nel dibattito pubblico e relegato quasi a cimelio per nostalgici di tutte le parti[…].Il dibattito mostra peraltro la sua strumentalità, perché esplode e si spegne solo nel periodo attorno alla ricorrenza, per scomparire poi dall’agenda pubblica.”

      Francesco Filippi, Ma perché siamo ancora  fascisti?

 

Anche Malavoglia, il coprotagonista dei miei romanzi, nel suo piccolo fa qualche riflessione utile sulla democrazia, proprio il giorno della presentazione al pubblico del suo libro: democrazia come ricerca e  impegno di giustizia concreta, quotidiana, che tutti possono condividere, non solo “gli addetti” alle cose di giustizia. Un modo di essere e di agire realizzato  da quanti,  soprattutto donne,  quotidianamente danno prove di  democrazia autentica, cercando di affrontare difficoltà, rimediare a torti, garantendo,  a se stessi e agli altri, l’esercizio di diritti.

 

 …Malavoglia si cacciò in mezzo con il suo libro in mano, proprio come un anziano cantante al suo ultimo palco dell’Ariston. Doveva scegliere le parole giuste per quei cinque minuti,anche perché si era già sforato con i tempi e la sala avrebbe accolto, fra poco, tutt’altro.

Si sentiva scoppiare il cuore. Forse gli sarebbe venuto un collasso e sarebbe morto lì, sotto le luci di quella piccola ribalta.[…]Parlò della giustizia e dell’ingiustizia; di quanto la giustizia debba essere forte, ma senza compiere forzature; di quanto sia facile sbagliare e impossibile, per molti, ammettere l’errore; come i giudici debbano essere umili, salvo che chi lo è davvero viene umiliato; della democrazia, al centro di molti centri concentrici, tanto che quasi non la vedi, ma poi, se la trascuri, te ne accorgi. Concluse col suo sogno della democrazia salvata grazie, soprattutto, alle donne: dalla signora araba alla fermata del bus, con il suo bagaglio sospetto, alla suorina con il cappello grande bianco, quello con le due punte…

Poi fu travolto da qualcosa che poteva essere tutto: dall’abbraccio di molti alla ressa della gente che se ne andava, in una babele di lingue ma anche di voci.

 Ennio Tomaselli , Messa alla prova, cap. Tramonti e albe