“Decise di andare in chiesa, in quello strano giorno di quella strana festa insanguinata. Quella di cui non parlavano granché bene neanche in ufficio: troppo vicina a Natale, non è roba da grandi regali, il tempo è sempre incerto e non si sa mai come vestirsi… Invece, quando entri in una chiesa in un giorno così, che non si dicono messe ma la gente c’è comunque, avverti subito un senso di vuoto e non solo perché la croce è coperta dal velluto viola. Dovrebbe riempirlo ciascuno di noi, comportandosi meglio o semplicemente sperando”. (da Messa alla prova, capitolo Venerdì Santo, p.314). Queste parole, scritte qualche anno fa pensando a un Venerdì Santo “normale”, mi sembrano attuali nei tre punti essenziali.
-1) Pasqua, preceduta dal martirio e dalla morte, è festa, diciamo così, “impegnativa” di suo. Quest’anno, con quanto avviene “sul terreno” (come dicono i media) e con quelle immagini che spaccano il cuore come colpi di lancia, l’impegno è massimo. -2) Le parole, almeno certe parole, suonano incongrue e talvolta sono proprio insulse. Le riserve di esse sono illimitate come vari arsenali militari, ma proprio per questo ne andrebbe fatto un uso più responsabile, da parte di tutti. -3) Sperare, se non inteso come una sorta di minimo sindacale, non è, invero, affatto semplice. Però è indispensabile, per ripartire nonostante il vuoto (o peggio) attorno e come motore nel cammino.
Ricordo il cardinale Martini dire che il delitto più grande è la perdita della speranza. Certo non deve essere né soppressa né abbandonata come una scatola vuota e inutile; ma deve anche procedere di pari passo con intenzioni ragionevoli, parole responsabili e la determinazione a perseguire instancabilmente tutte le vie perché per “risolvere” un conflitto non se ne faccia scoppiare uno più grande e ancora più distruttivo. Un paradosso che nella storia ha vari precedenti. Chi ha superato i 70 e, come me, ha avuto genitori, zii e nonni coinvolti nelle guerre della prima metà del Novecento ne ha presenti, grazie anche a quei portatori di una memoria diretta, i meccanismi di innesco, propagazione e reiterazione; così come l’agire prevaricatore o autenticamente delirante dei responsabili, ma anche quello convulso dei troppi che li seguivano perché imbevuti dalla propaganda, dal nazionalismo, dal revanscismo, dal bellicismo considerato espressione di personali virtù guerriere e di rigenerazione (!!!) collettiva.
Per concludere: almeno non deleghiamo i dibattiti ai talk-show e le scelte agli uomini soli al comando (ve ne sono, in forme varie, da più parti). Avvertire, in queste situazioni, un senso di vuoto, per carenza di dibattito vero nelle sedi più proprie e che dovrebbero essere più rappresentative, è un brutto segno. Tocca a ciascuno di noi cercare di colmarlo. Con quello che si ha, come le parole di un romanzo non più fresco di stampa e di un post senz’altra pretesa che quella di tenere assieme pensieri ed emozioni quando ormai si approssima questa Pasqua del 2022.