Videoclip intervista presso Bagni pubblici di via Agliè, Barriera di Milano, Torino

  https://youtu.be/d3i0RG0XvqU

 

È molto interessante, in tram o su un bus urbano, osservare gli altri passeggeri, soprattutto se il percorso è lungo e si snoda per più quartieri della città.

Che quasi tutti, in piedi o seduti, stiano a capo chino su qualche dispositivo elettronico è fatto risaputo.

Che ci sia ancora qualcuno, per lo più donna, che legge qualche libro cartaceo è un’eccezione che incuriosisce. Anche perché, a volte, si tratta di volumi di un discreto numero di pagine. Non è, per lo più, difficile capire che sono gialli o noir o, forse, rosa (talvolta il titolo è enigmatico o fuorviante). C’è anche qualche classico.

Da qualche tempo, però, ci sono anche gruppetti di signore (sempre le donne…) che parlano tra loro, cosa d’altri tempi. In effetti non sono, di solito, persone giovani; ma, comunque, l’età è variegata, come la piccola tavolozza cromatica dei testi. Lo spunto scaturisce, pressoché immancabilmente, da un disservizio o da un problema contingente: ritardi, deviazioni, scioperi, ecc… Ma poi si passa ai commenti sulla realtà di oggi, sui problemi della città e non solo. Con qualche parolone, si potrebbe dire che si sfiorano temi politici in una comunicazione social non virtuale; anche, ovviamente, con il consueto contorno di frasi fatte, spesso attinte di peso dalla televisione.

A conferma delle tesi di sondaggisti e sociologi, un tema ricorrente è la paura: paura per una percepita mancanza di sicurezza, paura per un futuro economicamente incerto, paura -da qualche tempo- per il futuro climatico del pianeta, paura per il futuro di figli e nipoti. A volte c’è anche sdegno, misto a voglia di cambiamento, per la sorte di tante donne vittime di violenza o di sopraffazione (e di questo parlano, davvero, solo le donne), o per il riaffiorare di episodi di razzismo e di prevaricazione.

Si parla molto dei giovani, minori e non. Considerati, di solito, bravissimi i “ragazzi di Greta”, di Friday for future; bravi i ragazzi che sono costretti ad andare all’estero per lavorare e, magari, affermarsi; bravi i tanti ragazzi che fanno volontariato.

Contenuti e toni cambiano di brutto quando si tocca il tema della delinquenza giovanile.

Con il racconto, più o meno preciso, dei fatti, iniziano le deprecazioni di rito sulla mancanza di valori (ma chi li dovrebbe riaffermare? -ndr), sul fatto che non c’è più educazione (ma chi la dovrebbe impartire? -ndr), sulle punizioni inadeguate. Nell’immaginario legato a questi discorsi il panorama giovanile è cupo. E allora sembra divenire prevalente la voglia di punizione severa ed esemplare come unico rimedio e unica forma di difesa dei cittadini. Con buona pace della nostra Costituzione, sbandierata in ogni tempo a seconda delle convenienze, che sottolinea, invece, la funzione riabilitativa della pena (Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato); a tacere della lettera e dello spirito di intese internazionali sottoscritte dal nostro Paese e di quanto prevede, in particolare, la procedura penale minorile.

Bisogna, certo, considerare che questi gruppi di discussione sono autoreferenziali e auto rassicuranti nella uniformità dei pareri, perché sono poche le persone, kamikaze della discussione tramviaria (ancora, prevalentemente, donne), che osano “entrare” seminando dubbi (qualche volta, per esempio, lo fa mia moglie e torna a casa miracolosamente indenne e decisamente “su di giri”). Tuttavia questi discorsi, in linea con tante e ben più accanite affermazioni sul web, fanno riflettere, soprattutto se ci si interroga sul da farsi.

Perché i ragazzi del carcere minorile di Torino sono da elogiare se offrono alla città i loro prodotti dolciari e i loro cioccolatini, frutto del lavoro nei laboratori, mentre le leggi che consentono messa alla prova o lavoro esterno, in base anche alle capacità acquisite in carcere, sono considerati, in genere, frutto di mentalità buonista e poco lungimirante?

In incontri e dibattiti anche recenti ho riscontrato ancora una volta che c’è davvero tanto bisogno di informazione capillare e corretta. Che, però, dovrebbe essere tale a tutti i livelli: la narrazione mediatica, l’interpretazione e la valutazione di esperti o presunti tali, il confronto da svolgere in ogni sede utile, formale e informale. Solo così si può sperare che l’ottica complessiva sia più equilibrata, l’ansia ridimensionata e la discussione proficua e costruttiva.

Una frase ricorrente, quasi una formula magica sulla bocca di tutti, è: “Bisogna cominciare dalle scuole”.

E nelle scuole, infatti, si dovrà continuare ad andare, incontrando ragazzi che hanno curiosità o sollecitandole. Si dovrà continuare a vederli nei luoghi di aggregazione, dove arrivano anche incanalati, coraggiosamente, dal lavoro sommerso di tanti insegnanti. Continuerò, nel mio piccolo, a farlo anch’io.

Ma non è tutto. Penso proprio che la parola serena e appropriata, che nutre l’informazione corretta, debba acquisire in tutta la società una forza maggiore, essere una specie di testa d’ariete, antagonista rispetto ai fiumi di parole vuote, inutili, autoreferenziali; usate anche, spesso, come manganelli. Ben vengano i momenti di riflessione, i convegni e i seminari, purché offrano spazi di confronto e dibattito autentici. Ben venga anche una saggistica mirata ad una divulgazione corretta (nel mio piccolo ho cercato di farlo con Giustizia e ingiustizia minorile. Tra profonde certezze e ragionevoli dubbi, semplificando il linguaggio senza banalizzarlo).

Oggi anche gli storici riscoprono, per sensibilizzare alla memoria storica, gli strumenti della narrativa, sì da raggiungere la gente con racconti di storie e di vissuti. Credono anche loro, infatti, che la parola che racconta e descrive la realtà (e a volte la spiega) attraverso vicende che ci sono “passate accanto” possa essere davvero un segno di impegno e uno stimolo al cambiamento. La narrativa, del resto, è sempre stata uno strumento fondamentale, soprattutto per i giovani. Al di là delle apparenze, proprio loro, forse più di altri, sanno riconoscere e distinguere chi racconta mirando “alla pancia” e chi, invece, vuole “impregnare” le storie della propria esperienza o mettere in gioco anche la propria storia per dare, come si diceva una volta, testimonianza.

La narrativa, naturalmente, è anche e anzitutto fantastica e si nutre di emozioni, suggestioni, immagini, ecc… Ma anch’essa può essere uno strumento corretto ed efficace sul piano civile se la narrazione, quali che siano i suoi ingredienti specifici, può far compiere un passo in avanti nell’approfondimento, facendo “assaporare” cose che stimolano a condividere riflessioni costruttive.

Anche per questo ho scritto un romanzo e cerco, e cercherò, di continuare a spendere bene le parole che ho a disposizione. Altrimenti la realtà distopica, oggetto della narrazione di molti romanzi oggi in voga, potrebbe non essere più un topos letterario, ma la fotografia delle nostre vite e dei nostri cuori.