Che non fosse solo un libro di intrattenimento ve l’ho già detto prima dell’estate. Forse non dovrei dirlo io, ma constato che Fronte Sud, con il suo intreccio e continuo rimando tra passato e presente, si sta confermando di grande attualità.
Come prima dell’estate, continua la guerra. Una guerra che sarebbe incomprensibile se non ponendosi in ottiche di spartizioni di influenze e di potere; ottiche che non erano mai state abbandonate ma che avevano saputo mascherarsi dietro trattati, accordi commerciali, incontri al vertice con partecipanti più o meno selezionati. Ora parlano le armi, di ogni tipo e provenienti da ogni dove.
Anche in Fronte Sud si parla di guerra. Una guerra lontana nel tempo, ma non certo nelle sue conseguenze, se pensiamo ai problemi di tutti i Paesi africani nell’affrontare il loro percorso postcoloniale. Sono stato, quindi, particolarmente contento quando il Festival dell’Accoglienza, organizzato dall’Ufficio Pastorale Migranti di Torino in collaborazione con istituzioni e agenzie sociali del territorio, ha inserito un momento di dialogo proprio a partire dal mio romanzo, a più voci e competenze per meglio approfondirne le tematiche.
Del resto, dal punto di vista storico, proprio in questi ultimi tempi si stanno costruendo reti di ricerca e di collegamento tra lo studio documentale della colonizzazione italiana in Africa e il supporto della memorialistica, attraverso gli scritti di varia natura dei protagonisti delle vicende di quegli anni e di quei luoghi.
Però il mio è un romanzo e nemmeno un romanzo storico. Manzoni si era posto a lungo il problema della scelta tra vero e verosimile, concludendo poi, dopo anni di sperimentazioni e riflessioni, con la scelta della poetica “del vero per oggetto, l’utile per scopo, l’interessante per mezzo”. Non voglio certo mettermi sullo stesso piano (!), ma nel mio piccolo ho cercato di costruire una narrazione che interessasse il lettore e nel contempo lo stimolasse a riflettere su grandi questioni sottese.
La questione del “farsi giustizia” che non può essere una strategia del singolo, in base alla reazione del momento o al desiderio di farla pagare a qualcuno (reazione umanissima che tenta potenzialmente chiunque), la realtà dei sensi di colpa che spesso attanagliano i giusti e della esibita indifferenza alla colpa dei responsabili, il dovere morale di spaziare dalla propria piccola storia a un orizzonte più allargato di umanità o, almeno, di possibile umanizzazione. Il tema della riparazione, insomma, ai limiti tra le tematiche e le tecniche della giustizia riparativa e le scelte etiche del risarcimento morale, che dovrebbero maggiormente condizionare non solo le piccole storie dei singoli ma in certa misura anche quelle dei popoli. Un tema che è stato trattato anche a livello filosofico, ottenendo appoggi e consensi ma anche pareri fortemente dissonanti.
Nel nostro momento storico, mondiale ma anche specificamente italiano, credo che un libro che ci consenta di fare i conti col nostro passato personale, ma anche ci ricordi come esso non possa essere del tutto separato da relazioni e vissuti di chi ha fatto scelte prima di noi, possa essere un libro “utile, per dirla con Manzoni. Forse un’utilità che non avrà un cammino proprio facile o spianato, data la tendenza attuale a rimuovere certe vicende e certi comportamenti, soprattutto quelli le cui ripercussioni sull’oggi sono ancora ben evidenti.
Per concludere: un libro (spero) utile che necessariamente avrà come compagni di viaggio soprattutto persone disposte ad approfondire e, perché no, anche disponibili a qualche tentativo di riparazione del danno, realizzabile solo grazie all’impegno, oggi più faticoso che mai, di costruzione di un futuro diverso.