Finisce l’anno tra lo sfolgorio dei fuochi, crepitanti come non mai in ogni italica contrada, quasi in contemporanea con gli omaggi funebri a un papa che “non se la sentiva più” e a un campione artista del pallone, il cui funerale è stato celebrato soprattutto sul suo campo di calcio.

Intanto sempre nuovi droni guidano in Ucraina le bombe su obiettivi ben focalizzati, richiamando l’attività intensa della contraerea, smuovendo sempre nuove necessità di investimenti in armi e allontanando, proprio nella precisione dei loro obiettivi, concrete speranze di trattative di tregua.

Folle che omaggiano campioni della fede e del pallone, folle che si spostano tra le urla delle sirene o che si rintanano nei rifugi.

Da noi le strade “del giorno dopo”, nel silenzio del primo dell’anno, sono piene di scatole di fuochi artificiali, ormai vuote ma ancora fumanti, mentre i cronisti danno ancora la caccia al primo vagito dopo la mezzanotte. Nuove vite in un vecchio mondo.

Forse siamo anche noi scatole vuote di fuochi artificiali. Lo sfolgorio delle nostre idee, delle nostre motivazioni, talvolta delle nostre iniziative, è breve come la notte di capodanno e ci ritroviamo nella quotidianità dei tempi ordinari a fare i conti con tutto ciò che poteva essere e non è stato.

Le riflessioni di questi giorni sul papa emerito e la definizione di alcuni giornali del “papa conservatore che rivoluzionò la storia della Chiesa” potrebbero aprirci il varco a una constatazione. Non possiamo vivere impegnandoci a mezzo servizio. Le necessità personali e quelle sociali convergono verso questa direzione: non liquidare subito come utopie illusorie tutte le speranze (nostre e di altre parti del mondo) perché non abbiamo nemmeno il coraggio di sognarle.

Un papa ha avuto il coraggio della novità del dimettersi dall’incarico perché, probabilmente, aveva individuato necessità urgenti, aveva sogni alti che richiedevano l’urgenza di forze fresche, di nuovi approcci e di nuove convergenze. Ma non ha rinunciato a ritenere che un cambiamento potesse comunque essere possibile.

In molti, ormai, stanno invece rinunciando a creare almeno la prospettiva culturale di una pace possibile e questo mentre il diritto, prima, e poi le leggi vengono piegate alle necessità di bisogni di consenso dei politici, prima ancora che della politica, in molti campi del vivere sociale.

Intanto, oltre i fatti di cronaca emergenti, le pagine, solitamente un po’ sonnacchiose, dei giornali nei periodi festivi ospitano dibattiti teologici o pseudo teologici sulle metafore delle icone natalizie e sul coinvolgimento emotivo dei credenti delle varie fedi religiose. Dibattiti in realtà non così innovatori, dal momento che vi aleggia, in modo nemmeno così latente, il tema della religio come alienazione o come forma motivazionale più o meno inconscia.

Come cittadino ˗ forse anche, perché no, come cittadino che si è dato alla scrittura ˗ desidererei qualche schiettezza in più nelle analisi, qualche blah blah in meno di intrattenimento, qualche essenzialità più evidentemente ricercata da parte, almeno, degli intellettuali. Non oso scrivere “qualche verità in più” perché sarebbe ritenuta anche questa una utopia indicibile, dati i canoni della comunicazione.

Eppure il mondo, il cosmo, ci richiede novità per contenere il cambiamento climatico, per affrontare le sfide di nuovi approcci politici ed economici per affrontare l’enormità delle disuguaglianze alimentari e di risorse dei vari continenti. Novità, anche, per salvare l’enorme sete di diritti ancora da garantire per tutelare l’umanità intera.

Non, però, “che tutto cambi perché nulla cambi”: le vicende di questi ultimi due anni ci stanno dimostrando la follia di un puro e semplice ritorno alla normalità inteso come “i nostri vantaggi di prima”, che ci costringono a un eterno e ciclico ritorno di allarmi e paure.

Eppure le proteste variegate e coraggiose di tanti giovani, in tante nazioni, contro persecuzioni, guerre e dettami pseudo religiosi ci mostrano che il nuovo è già presente, è possibile.

In effetti il nuovo è possibile se non lo riduciamo a un fuoco artificiale a tempo, un bell’oggetto da ammirare in momenti di ozio.

Soprattutto se non perdiamo il coraggio almeno di delinearlo quotidianamente dentro di noi. E non da soli.