L’esperienza reale e metaforica del rinascere era stata al centro della mia ultima riflessione, dopo la presentazione alla libreria Nuova Rinascita di Brescia.

Non sono passati molti giorni, ma sembra che sia trascorso un tempo infinito perché nel frattempo siamo tutti, poco o tanto, cambiati.

Da un certo numero di giorni ci troviamo “ristretti” nelle nostre case, dove finiamo per riflettere, volenti o nolenti, a lungo o solo per qualche attimo, sulla vita, sul suo significato, sulla sua fragilità e anche sulla possibilità, reale e talvolta prossima, della morte.

Pur essendo quest’ultima, ahimè, una realtà concretissima, nel nostro tempo e nella nostra cultura viene esorcizzata il più possibile. Lo sapevamo già, l’hanno già scritto e detto in tanti; ma colpisce comunque che, ad esempio, nei notiziari, accanto al numero dei “caduti” di questa guerra quotidiana, vengano immediatamente aggiunte rassicuranti precisazioni sull’età avanzata e sullo stato di salute già compromesso delle vittime.

Il signor corona virus (o Coronavirus, insomma il Covid 19) ci ha costretti a osservare da vicino le nostre debolezze, a rimuoverle o temerle, ma per fortuna ha anche messo in luce virtù umane e professionali, impegno e solidarietà, competenze scientifiche e spazi di pura creatività.

Certamente ci sono stati e ci sono episodi di scarso o nullo senso civico, trasgressioni pericolose, ritardi e disorganizzazioni. Ci sono stati e ci sono i soliti sbruffoni da tastiera che sentenziano, esperti di tutto, sui social, i truffatori a domicilio, i propalatori di fake news, spesso per nulla innocue.

Ma tutto ciò è sovrastato, in me e mia moglie Rosamaria, dal pensiero dei luoghi della mia ultima visita “letteraria”, da cui non a caso sono partito in questa riflessione: la città di Brescia, così tragicamente provata e così vicina alla Bergamasca e alla città di Bergamo, travolte da un vero tsunami. Le immagini di quei carri militari che portano bare fuori dalla città non richiedono commenti e rendono vano ogni nostro sforzo di rimozione.

Il dolore profondo dei tantissimi che non hanno potuto (e non possono) né accudire né seppellire i loro morti, l’abnegazione dei soccorritori, degli assistenti, volontari e non, dei medici, a volte gettati nella mischia giovanissimi, con ancora addosso il profumo della loro corona d’alloro di laurea…

Sono immagini e voci che abbiamo in mente tutti. Penso, comunque, che tutto ciò sottolinei quella capacità di rinascita e resilienza su cui riflettevo l’altra volta.

Una capacità non a buon mercato, ovviamente, che si alimenta di serietà, di abnegazione non ostentata, di impegno ai limiti o oltre i limiti del sacrificio, un’immagine -finalmente- dell’Italia seria che, al di là dei tanti e rinascenti sovranismi, diviene icona nel mondo di un coraggio operoso e di una solidarietà aperta alla speranza.

Per questo dobbiamo condividere questo sforzo. Costerà al Paese e a ciascuno un prezzo altissimo in termini di lutti, fatica, sofferenza fisica e psicologica, sospensione di affetti e relazioni, lavoro, privazioni e deprivazioni economiche; ma siamo consapevoli, ormai, che questo è l’unico, concreto, passaporto per uscirne fuori, spero più convinti delle nostre necessità e risorse reali.

L’importante è davvero, come è stato detto, non sprecare questi giorni difficili. 

E allora in questi giorni bui, illuminati però dal sole di primavera (la natura, secondo alcuni filosofi, ci sostiene; secondo altri, semplicemente, ci ignora), vorrei davvero esprimere, anzitutto alla gente lombarda, questo augurio (lo spunto mi è stato suggerito da Rosamaria), la cui attuazione richiede sforzo di volontà per guardare oltre:

 “Vi faccio questo augurio. Che anche voi, scrutando i segni, possiate dire così: resta poco della notte, perché il sole sta già inondando l’orizzonte.   (Tonino Bello, 1935-1993)