“Messa alla prova”   4 maggio ore 11        CAFFETTERIA DEL TRIBUNALE  c.so Vittorio Emanuele II 130

Ḗ un bel titolo per questa rassegna del Salone off. Non solo perché si adatta bene al mio Messa alla prova, ma perché, conoscendo qualche altro autore e libro, penso che davvero si possa approfondire l’argomento, non sempre considerato adeguatamente, delle persone e delle vicende “impigliate”, appunto, “ai limiti della legalità”.

Persone, come si racconta in questi libri, che vivono esperienze di istituzionalizzazione, prigioniere prima di tutto di se stesse e delle proprie scelte; o i bambini e i ragazzi, già sofferenti e deprivati, che hanno sperimentato dolorosamente sulla propria pelle, sino alla fine degli anni ’70, l’incapacità della scienza e delle istituzioni di prendersi davvero cura di loro.

Perché i limiti della legalità sono le necessarie barriere delle regole del vivere comune, ma ci sono pure i limiti, anche delle istituzioni, nel voler/poter conoscere davvero le persone che hanno variamente “a che fare” con le istituzioni stesse. Credo, insomma, che da questi libri emergano storie della più varia umanità, secondo punti di vista, anche “dall’interno”, che dovrebbero contribuire a scalfire pregiudizi e luoghi comuni.

Considerando le cronache di questi tempi/giorni, con episodi variegati di violenza nella sfera pubblica e privata a tutti livelli, smantellare il pregiudizio sembrerebbe impresa quasi impossibile: tali fatti alimentano, purtroppo, la strategia della tensione sociale, nutrendo schiere di haters virtuali e reali, che incrementano il numero dei followers dei portatori delle risoluzioni “forti”.

Ci sarebbe da scoraggiarsi, ma fortunatamente siamo anche “freschi” delle riflessioni fatte in questo ultimo 25 aprile. Una festa, quest’anno, nel vortice delle polemiche come non mai, ma come non mai portatrice di obiettivi chiari e a portata di mano: spendersi per qualcosa di giusto, buono per tutti e per ciascuno, senza perdere più tempo e senza esitazioni.  Da che parte stare, nuovamente, oggi, mi sembra facile da capire.

Quel “Non è questo il paese che volevamo”, detto da Carlo Smuraglia, presidente onorario ANPI, nella orazione ufficiale del 25 aprile nella mia città, è risuonato e risuona in tutte le coscienze che hanno voluto accoglierlo: un giudizio storico doloroso, ma anche un invito appassionato a nuove assunzioni di responsabilità.

Perciò, nella nostra realtà quotidiana, “giocare”, talvolta, “ai limiti della legalità”, cercando di superare quegli scogli normativi che possono racchiudere il germe di concrete ingiustizie, può significare “fare la differenza” e iniziare a tracciare un solco di ritrovata umanità.

 

 

Dimenticavo: nel cammino di Messa alla prova ci sono state attestazioni di merito in due Premi Letterari, il 17° Concorso Nazionale di poesia e narrativa “Vittorio Alfieri” e il 15° Premio nazionale di arti letterarie “Metropoli di Torino”.

Ora si è aggiunto un Premio della Giuria nel 30° Premio letterario internazionale “Cinque Terre-Golfo dei Poeti-Sirio Guerrieri”, che ha ritirato per me a Portovenere, il 7 aprile 2019, mia sorella Gisella, sorridente nella foto.

Grazie e Gisella e a mia moglie Rosamaria, che ha fatto il collage di attestati e foto.

 

 

Videoclip:    https://drive.google.com/open?id=1CoEvsuxwkUAakXf8rxpSH8fgi4lhasV9

 

Questa volta Vito, Malavoglia, Moreno e gli altri hanno affrontato un pericolo imprevisto.

Infatti, non hanno solo dovuto lottare contro i loro soliti impulsi alla trasgressione e alla rivincita, contro la tentazione di sistemare le cose facendo tutto da sé, secondo i loro personali progetti o ideali.

Questa volta la realtà della Storia e delle storie si è materializzata nelle ovattate stanze del Caffè Pedrocchi di Padova, storico di suo, con l’irrompere di grida, cori e stridori. Un corteo di manifestanti era giunto a pochi passi dal Municipio e dall’entrata del Caffè ed era scaturito uno scontro con i presidi di polizia.

Impossibile diffondersi, qui, sui motivi della manifestazione e sull’ operato della polizia. Sta di fatto che ci siamo sentiti, all’ interno della storica sala bianca del Pedrocchi, come in un cittadella sotto assedio, con l’impossibilità di uscire; ma anche come in un’isola felice, dove si continuavano a porre domande di un certo spessore e a leggere passi del libro, apparentemente, come se niente fosse, anche se sotto le finestre venivano vibrati colpi di manganello o venivano urlate frasi di rivendicazione di libertà che si affermavano negate.     Il regno dei filosofi nella città ideale.

Il mio rapporto, in questi anni, con Padova, una città che prima conoscevo molto poco, è stato certamente influenzato dai vissuti affettivi e dai ricordi di mia moglie, studentessa della facoltà di psicologia in anni “storici”. Lei mi ha condotto per le strade, fisiche e ideali, della città non certo con la neutralità di una guida turistica. Così, via via, i miei occhi hanno rivisto, anche al di là di quanto vissuto, o non vissuto, direttamente, fatti di anni lontani ma storicamente molto importanti, nel bene e nel male, per la città e per l’Italia. In un certo senso, anche quelle grida e quei lampeggianti non facevano che ripetere un déja vu; anche di tante altre città italiane, nuovamente in questi nostri giorni.

Tuttavia ho percepito nettamente che Vito, Malavoglia, Moreno e gli altri del libro “dalla loro parte” non stonavano affatto in quel contesto. Le loro peripezie scaturivano dagli stessi bisogni. Un bisogno di verità che non può spegnersi di fronte ai limiti posti da regole non comprese o proprio non condivise; un bisogno di agire comunque, anche sbagliando spesso o prendendo direzioni financo pericolose; il bisogno morale di rischiare di persona per la propria “causa” invece di attendere passivamente. Tratti comuni, questi, ai miei personaggi o, almeno, a quelli che ho amato e amo di più.

Già durante la “normale” presentazione non è che si fosse rimasti sul piano dell’astrazione, perché tutto ciò che il romanzo ha di reale e di attuale stava già prendendo corpo bene; grazie, soprattutto, agli stimoli del presentatore e agli umori del pubblico, folto e anche molto qualificato. Muovendo dai miei personaggi e dalle loro storie si era giunti a parlare di imputabilità, di maturità degli adolescenti, di ricerca delle origini…  Questioni importanti, eccome; ma che, in quel clima da cittadella assediata, andavano a inserirsi come cerchi concentrici (il discorso che faccio sempre nelle presentazioni…) in ambiti più ampi, sì che si toccavano con mano i temi prioritari: come la convivenza sociale sempre più logorata e la mancanza di obiettivi di bene condiviso, in una comunità cittadina e nazionale che fa sempre più fatica a definirsi tale.

Anche i segni dei proiettili sul muro, ricordo delle lotte studentesche anti-austriache che nel 1848, pure al Pedrocchi, avviarono l’epopea risorgimentale, per un attimo hanno perso i contorni del reperto storico e sono divenuti segni freschissimi dell’oggi: quasi un monito sul pericolo insito nelle contrapposizioni, ma anche testimonianza di una scelta ideale irrinunciabile, che sa mettere in conto rischi non compresi nelle nostre frequenti e prosaiche analisi costi-benefici.

Perfino le mie modeste dediche ai lettori ˗ scritte, sino alla fine, sotto una luce fluttuante, fra il bagliore della sala bianca e i riflessi dei lampeggianti dei blindati della polizia ˗ hanno acquistato un significato meno rituale, quasi fossero state messaggi in bottiglia a cui affidare le emozioni, intense, di quei momenti.

Sì, per una volta i miei vissuti hanno trovato un’eco comune con quelli che tante volte avevano percorso strade di una città ancora, per me, sconosciuta. E mi è sembrato quasi che Vito ˗ sì, soprattutto lui con la sua energia giovanile ˗ tra quelle mura ci fosse, idealmente, già stato: nel 1848 e anche dopo, tutte le volte che una lotta per la libertà avesse motivato affetti e ideali di persone come lui, impazienti di verità e di concreta, quotidiana, giustizia.

Coraggio: ecco quello che direi a Vito e a tutti quelli come lui, personaggi o persone. Il cammino è davvero difficile, ma altri hanno già provato, prima di voi, a mettere dei sassolini per segnare il percorso.

Secondo me ci sono riusciti.

Videoclip: https://drive.google.com/open?id=15yYnVS4S7PvMgbR5v-OcKFwgvqj2jqwd

 

Ḗ sabato, il 9 marzo, il sole di mezzogiorno sembra rinvigorire l’azzurro del cielo, che si staglia senza incertezze sulle pietre bianche delle case nel cuore barocco di Lecce.

Sta per partire il mio treno per il ritorno al Nord, verso un cielo di un azzurro, certo, meno intenso; ma il clima si preannuncia ugualmente tiepido come in un anticipo di primavera, complici cambiamenti e capricci climatici.

In questi giorni ho davvero parlato tanto e lo testimonia la mia voce un po’ roca e affaticata.

Una fatica anche metaforica: di uno che, “viandante” per una nuova esperienza di letteratura, nel cammino è stato anche testimone “anziano” di esperienze di giustizia minorile.  In questo itinerario pugliese-lucano ho parlato infatti, necessariamente, anche di giustizia per i minori, delle scelte, spesso difficili, che si fanno collegialmente in camera di consiglio, del rapporto con gli operatori, di ragazzi incontrati in tante storie vere.

Ne ho parlato con persone cordiali, che in questi giorni si sono rivelate in sintonia con la mia mission di presentazione del romanzo: addetti ai lavori di oggi, o che lo sono stati in passato, che in questo incontro hanno riversato la freschezza di tanti ricordi o di tante esperienze attuali, che hanno posto domande emblematiche del loro interesse e del loro impegno di sempre.

Posso dire di essermi sentito quasi “abbracciato” ˗ non capitava da tanto ˗ dalla comunità di chi nel minorile non solo spende le sue competenze ma investe anche la propria motivazione per fornire un servizio davvero efficace, che si traduce in giustizia concreta e quotidiana.

Sì, certo, presentavo un romanzo, si parlava anzitutto di una fiction; ma il discorso, molto spesso, è andato naturalmente oltre e mi ha fatto bene sentir dire a qualche partecipante agli incontri che “tornava a casa più incoraggiato a proseguire nei suoi sforzi”.

Così, in queste terre del Sud ˗ che ancora parlano dello splendore delle civiltà antiche ma sono messe alla prova, oggi, oltre che da politiche spesso poco lungimiranti, anche dal cambiamento climatico, dalle epidemie negli uliveti, dai pesanti rischi ambientali di un’industria che offre lavoro ma sottrae salute ˗ la mia storia, di bambino immigrato in “terra sabauda” e poi di magistrato che ha sempre lavorato lì, ha trovato mille consonanze e si è confusa con le emozioni e i ricordi di tanti altri. Quasi una narrazione comune, come quando ho letto, a p.270 di Messa alla prova, il brano su quella specie di Sud dell’anima in cui si trova Vito e ho sentito la gente attorno più in sintonia che mai, anche al di là degli applausi…

Nella mia testa, ora, ci sono tanti fotogrammi ancora da ricomporre perché i vissuti di questi giorni possano divenire una definita testimonianza, una nuova esperienza.

Sembrano sovrapporsi, come tessere di un caleidoscopio, le immagini del biancore delle pietre delle cattedrali di Bari, con i racconti dei progetti di vela sul mare dei ragazzi del carcere minorile; il presidio di legalità del Tribunale per i minorenni di Taranto, che rianima un antico convento, in un piazza dalla storia nobile ma ora insidiata dal degrado; i volti di ex giudici onorari che ancora si spendono per i ragazzi; quelli delle mamme affidatarie di minori non accompagnati, orgogliose della loro fatica e delle loro scelte.

E ancora: la voglia di capire e diffondere conoscenza dei membri delle associazioni di Lecce, che mi hanno posto tante domande che scaturivano dal romanzo ma erano un tutt’uno con i loro vissuti e le loro storie di quotidianità familiare.

Un segno, per me, che Messa alla prova davvero può dire parecchie cose; anche diverse, a pubblici diversi.

Una mano sulla spalla mi scuote da questo film ad occhi aperti, mentre il treno rallenta giungendo in una stazione. C’è il controllore, ma la mano non è la sua, come, invece, in una nota pubblicità in cui il sogno di una vacanza viene interrotto appunto dalla brusca richiesta del biglietto.

Ḗ la mano di mia moglie Rosamaria, che mi scuote per segnalarmi la presenza del controllore, mentre mi informa di dove siamo arrivati. Il viaggio è ancora lungo, ma non importa. Mi faranno compagnia, oltre a Rosamaria, instancabile compagna d’avventura (v. fra i Grazie a fine libro), i frammenti di vita di questi giorni; in attesa che, a Torino, possa riordinarli dentro di me.

Un bagaglio di nuove suggestioni, sicuramente anche di nuovi stimoli intellettuali. Ancora una testimonianza che muove dal libro, ma era partita da molto lontano e chissà dove troverà nuovo approdo.

Certo non la perderò di vista.

“… è l’ora soave che il sol morituro saluta/ le torri e il tempio, divo Petronio tuo…”.

Ci mancava anche la citazione poetica, potrà pensare qualcuno, che, letto il romanzo, penserà che inseguo i miei pallini letterari come Malavoglia…

Non voglio incombere con il resoconto delle mie presentazioni, ma in effetti l’andare per l’Italia, con il mio libro in mano da presentare, mi consente varie riflessioni e diversi spunti.

Nel tramonto bolognese di una giornata di fine inverno ho avuto l’onore di entrare, per presentare, tra le mura dell’antica libreria Zanichelli (ora Zanichelli coop), che affaccia le sue vetrine sotto il porticato del palazzo dell’Archiginnasio, sede dell’antica università e ora gloriosa biblioteca comunale, famosa a livello europeo, specializzata in campo umanistico; dove, tanto per citarne uno, ha fatto lezione e tenuto incontri anche Albert Einstein…

Così Messa alla prova, piccina piccina ma, in fondo, in sintonia con i messaggi  aleggiati tra quelle antiche mura, ha provato a far arrivare la sua voce di invito all’empatia, all’attenzione per l’umanità che è in noi; da difendere sempre e da non “sgualcire” mai, nonostante tutti gli ostacoli che si frappongono, fuori e dentro di noi.

Ancora una volta ho ritrovato ad ascoltarmi occhi attenti di operatori, che forse rivedono un po’ se stessi nelle difficoltà dei personaggi, “attori” e “attanti”, come si direbbe con i termini di un manuale di composizione delle fabulae letterarie.

Operatori che nel libro si ritrovano nella lotta contro il disagio e la fatica degli adolescenti ma anche contro i limiti e le inadeguatezze (anche delle istituzioni) nel farvi fronte. Ma ho trovato e riconosciuto anche gli occhi di giovani operatori coraggiosi, consapevoli e tenaci, che ben conoscono le difficoltà dell’oggi ma   vanno verso il futuro con la serena sicurezza di chi si spende per ciò che è giusto.

Sono contento che Messa alla prova mi consenta ovunque di incontrare persone così, che hanno ancora voglia, anche attraverso la lettura o la riflessione su un romanzo, di mostrare il loro impegno di ricerca e approfondimento.

Così ˗ nel tramonto della “fosca e turrita Bologna”, peraltro risplendente delle luci nascoste tra le bifore dei palazzi medioevali ˗ ho ripreso anch’ io il mio cammino verso altre mete, mettendomi alla prova con il mio libro in mano. In cerca ˗ forse un po’ velleitariamente, ma non è questo che conta ˗ di altre voci e altri occhi per accompagnarmi nella testimonianza di umanità che è, in fondo, la scrittura di un libro, per piccino piccino che sia.

Quest’anno non si può che ricordare così:

 

https://www.facebook.com/fanpage.it/videos/327576157857234/

 

Ecco il comunicato stampa dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia c/o il Tribunale per i minorenni di Roma., Via dei Bresciani, n. 32 -00136, Roma
Sito web: www.minoriefamiglia.it    Aderente alla”Association Internationale des Magistrats de la Jeunesse et de la Famille”

Comunicato stampa sui minori presenti a bordo della nave Sea Watch
La nave Sea Watch 3 con bordo 47 persone straniere – soccorse dinanzi alle coste libiche – dopo giorni di viaggio, a causa del maltempo e concreto rischio per l’incolumità dei passeggeri, si trova da qualche giorno al largo di Siracusa
Sulla nave, ora in acque territoriali italiane, tra i soggetti maggiormente vulnerabili, vi sono 8 minori soli e 5 minori accompagnati da adulti di riferimento.
Il rispetto della legge e delle regole vigenti in Italia, in osservanza degli obblighi internazionali, dell’attuazione delle direttive europee in materia di accoglienza, della disciplina specifica per la tutela e protezione delle persone straniere di età minore che si trovano in territorio italiano, in applicazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, prevede :
– il divieto di respingimento,
– il divieto di espulsione,
– il diritto ad essere identificati ed essere informati sui loro diritti
– il diritto alla presunzione della minore età fino all’esito dell’ accertamento
– il diritto all’accoglienza secondo la normativa attuativa delle direttive 2033-2032/ 2013 UE prevista dal dlvo n. 142/2015, da eseguirsi , come specificato anche nelle recente circolare del Ministero dell’Interno del 3-1-2019 nel SIPROIMI ( sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati )
– diritto alla nomina del tutore ,
– diritto all’ascolto
– diritto al ricongiungimento familiare
– diritto all’affidamento familiare
– diritto all’inclusione sociale , anche se prossime alla maggiore età , ai sensi dell’art.13 della legge n. 47 del 2017
L’AIMMF ricorda che per la condizione di vulnerabilità delle persone minorenni straniere l’applicazione della legge deve essere garantita senza ritardo nel momento di arrivo alla frontiera per non prolungarne la sofferenza e il trauma patito.
L’AIMMF chiede la dovuta immediata identificazione dei minori al fine di consentire alla Procura della Repubblica Minorile competente di richiedere al Tribunale per i minorenni i provvedimenti in tutela dei minori che si trovano in questa gravissima condizione .
L’AIMMF precisa che l’intervento urgente di accoglienza e di protezione è questione diversa dall’individuazione del luogo stabile di permanenza dei migranti minorenni e che, a questo proposito, già nel recente passato, sono stati efficaci i progetti di “ricollocamento” presso gli Stati membri dell’UE, che rispondono, peraltro, alla progettualità e al sogno di molti dei minori soli.
L’AIMMF, quindi, pur ritenendo non più procrastinabile il rispetto della legge per i minori stranieri presenti in Italia sulla nave Sea Watch per le misure urgenti di accoglienza, di salvaguardia e tutela richiama anche l’applicazione dell’art. 80 del TFUE e le politiche dell’UE ispirate al principio di solidarietà e di mutua collaborazione .
L’AIMMF si impegna, per la tutela e accoglienza dei minori stranieri soli e in condizione di vulnerabilità, a proporre all’Association Internationale des Magistrats de la jeunesse et de la famille un’azione congiunta di sensibilizzazione e di confronto nella speranza, quanto meno, di una attenuazione dei processi in atto di rifiuto e opposizione a soluzioni costruttive e di rispetto dei diritti dell’Umanità.
Il Segretario generale Il Presidente
Susanna Galli Maria Francesca Pricoco

 

 

Man mano che veniva presentato Messa alla prova ha mostrato, gradualmente, tutta la sua anima.

Le prime presentazioni hanno avuto il carattere dell’accompagnamento, da parte dei presentatori, dell’esordiente scrittore di romanzi, verso una nuova esperienza. Così alla libreria di Binaria, il “Centro commensale” del Gruppo Abele a Torino, con la presentazione di Franco Prina, docente universitario nonché ex giudice onorario; così anche alla libreria Il bardotto, dove Camillo Losana, presidente storico del Tribunale per i Minorenni in anni ruggenti del diritto minorile, ha accompagnato anche lui, quasi con delicatezza, i primi passi del libro ancora fresco di stampa.

Poi, man mano, con il cambiare dei paesaggi e delle location, anche le presentazioni hanno acquisito nuove tonalità e il libro ha iniziato a proporsi, di fronte a pubblici diversi, nelle sue varie sfaccettature.

Già a Varazze, di fronte al mare, grazie alle domande della giornalista Graziella Riviera ha preso a “dischiudersi” meglio la narrativa che connota il libro, con i suoi caratteri di fiction e i suoi possibili messaggi.

E così via, negli incontri presso centri culturali o librerie, sono stati sottolineati aspetti diversi, ora letterari, ora sociali, ora psicologici, così come nella presentazione di Pinerolo a cura della professoressa Silvia Bonino.

Questo a riprova del fatto – come è stato detto- che ciascun lettore può leggervi o trovarvi riferimenti diversi e che l’habitat di Messa alla prova non è esclusivamente giudiziario: il suo destinatario finale può essere davvero chiunque perché, in altre parole, non è proprio un romanzo a tesi. Altrimenti non condurrebbe persone così diverse a conclusioni così “aperte”.

Un altro fatto da segnalare: il libro è stato presentato da due docenti esperte di letteratura, in particolare in lingua inglese: Rosanella Volponi a Livorno e Ornella Pozzi a Torino. In entrambi i casi il romanzo è stato commentato e presentato nelle sue suggestioni, nella struttura narrativa, nella psicologia dei personaggi, maschili e femminili, nei possibili parallelismi con altre opere di narrativa, cioè “ha messo gambe” da un punto di vista letterario… Probabilmente è dipeso dall’esperienza e dalla competenza delle due presentatrici se, ascoltandole, mi sono sentito non solo un ex magistrato “impancatosi” a  scrittore, quasi costretto a giustificarsi… per aver deciso di ingrossare le fila degli esordienti nella narrativa provenienti, per non dire transfughi, dalla magistratura… Un grazie, quindi, a loro, senza dimenticare la giovane Chiara Dalmasso, che scrive per L’Indice dei libri del mese e per il Corriere (edizione torinese) e il 27 novembre 2018, nella presentazione alla Fondazione Croce di Torino, ha parlato, ella pure, del mio romanzo sotto il profilo letterario, facendosi ˗ credo proprio ˗ apprezzare da tutti.

Concludendo: una bella esperienza, arricchita dalla lettura di alcuni passi del libro, in alcune occasioni, da parte di attori, attrici o lettori appassionati. In quei momenti ho sentito vivere il mio libro e mi è sembrato che gli ascoltatori comprendessero, empaticamente, che attraverso le parole possiamo anche “sentire” l’anima. Del libro, naturalmente, ma forse, chissà, anche un po’ la nostra.

 

Venerdì 11 gennaio ho presentato Messa alla prova nella sala incontri della Biblioteca Civica centrale di Torino.
Una location  in cui mi sento particolarmente a mio agio, sia perché è sempre bello parlare di un libro in una biblioteca così frequentata, sia perché quella biblioteca è un luogo a cui sono particolarmente affezionato.

Mi fa tornare alla mente tante ore di studio da liceale e da universitario e tante ricerche… Cominciavano con la consultazione dei soggetti nell’apposito schedario a cassettini di legno chiaro, poi c’era l’attesa al banco della distribuzione e non sapevi fino all’ultimo se il libro cercato era disponibile o in prestito…

Ricordi di un maturo signore, visto che oggi, invece, si conoscono perfettamente gli schedari e la disponibilità dei libri, fin da casa, grazie ai cataloghi digitali on line.

Ricordi messi alla prova, pure loro, durante la serata. Sì, perché c’erano anche alcuni miei compagni di ginnasio/liceo, materializzatisi come per incanto dopo tanti anni, apparsi tra gli scaffali, tra una pila di libri e l’altra, sempre uguali a se stessi nella gioia del ritrovarsi. Come se fossimo stati, ancora, tutti ragazzini e loro contenti come pasque perché Tomaselli, alla cattedra, stava prendendo un insperato nove d’italiano.

Una vera nota di gioventù, un rapporto con gli adolescenti di oggi e non di ieri, è stato introdotto dalle ragazze della redazione di un giornale scolastico, anche questo on line, fresco e dinamico proprio come le sue redattrici, accompagnate dal loro docente- tutor.
Le loro domande hanno subito centrato un tema-chiave (il rapporto tra giustizia e ingiustizia, nella vita e nel romanzo) e sono sfociate in un quasi provocatorio: “perché un giovane dovrebbe leggere questo romanzo, visto che è legato a vicende di giovani ma anche di tanti adulti?”

Una domanda cruciale per verificare la possibilità di utilizzo del romanzo come un canale di comunicazione “ad ampio raggio”. Ho risposto con esempi di passi del libro dove compaiono figure di giovani e di adolescenti, evidenziando la possibilità di identificarsi e di compiere, quindi, un percorso con i personaggi.

Un percorso verso che cosa?  L’ho già detto: nel romanzo non c’è un cammino che porta a uno scioglimento “felice” della vicenda, ma c’è sicuramente una cammino di incontro con gli altri; con i loro problemi, ma anche con la loro capacità di emozionarsi e coinvolgerci in nuove dimensioni di speranza.

Penso che i giovani lettori, anzi, coglieranno proprio questo prima di tutti gli altri, al di là dell’intreccio e delle vicende dei numerosi personaggi: è “l’aria che tira” nel libro, con le pagine drammatiche e comiche a volte intrecciate come l’umore di un adolescente, con le figure di tanti adulti che si credono tali ma che in realtà sono a tratti – o sempre – adolescenziali anche loro, nelle scelte o nei desideri, con  le grandi domande dell’esistenza vissute con difficoltà, ma anche consapevolezza, proprio dai più giovani.

Sì, penso davvero che i ragazzi ˗ o, comunque, i giovani ˗ possano identificarsi, trarre spunti per pensare, forse anche per considerare gli adulti (o apparenti tali) da un altro punto di vista, “incasinati” come loro nelle vicende della vita; vicende che, però, possono essere sbrogliate, almeno in parte, se non si affrontano da soli e, soprattutto, da un unico punto di vista.

 

Nei dibattiti in occasione delle presentazioni o, comunque, parlando del romanzo, ho notato che qualcuno, soprattutto fra gli addetti ai lavori giudiziari, tende ad accostare troppo Messa alla prova al mio, precedente, saggio sulla giustizia minorile, quasi che l’uno fosse il necessario sequel dell’altro. Credo che ciò sia legato a più fattori:

-a) la mia persona e la mia esperienza di lavoro in magistratura rischiano di connotarmi come scrittore, agli occhi di chi già le conosce, indipendentemente dal genere letterario, per cui anche un’opera di narrativa viene letta, anzitutto, come frutto di riflessioni scaturite da quell’esperienza.

-b) Messa alla prova contiene molti elementi di contesto e di location legati all’ambito giudiziario. I primattori si incontrano e, per buona parte della narrazione, si muovono in tale ambito (anche se l’intreccio di storie che è il fulcro del romanzo si sviluppa e si risolve, idealmente e concretamente, soprattutto extra moenia).

-c) l’aspirazione alla giustizia, peraltro nelle forme più varie, in termini istituzionali o sostanziali, è certamente uno dei temi di fondo del romanzo.

Ritengo, comunque, utile qualche parola in più, come del resto ho già fatto talvolta, a viva voce, presentando il romanzo.

L’idea di scrivere un romanzo è stata, in me, risalente. Intendo a molto prima del pensionamento (2014), dopo il quale la priorità è stata quella di mettere nero su bianco, nel saggio Giustizia e ingiustizia minorile, le riflessioni legate direttamente al mio lavoro; come la naturale ed effettiva conclusione di esso, un punto fermo rispetto all’esperienza “in diretta”, in vista di un coinvolgimento che sarebbe proseguito in forme necessariamente diverse e meno pressanti. Il pressing era stato tale che, lavorando, non sarei riuscito a condurre in porto né un saggio né, tanto meno, un romanzo.

Alcuni pensionati si dedicano ai viaggi e all’ hobbistica; io, dopo la pubblicazione e le presentazioni del saggio, ho ripescato dal cassetto, e soprattutto nella testa e nel cuore, quella vecchia idea di una storia e mi sono messo alla prova scrivendo un’opera di un genere per me nuovo, che certo non poteva prescindere dalla mia esperienza giudiziaria, durata oltre 36 anni (di cui quasi un quarto di secolo in ambito minorile). I temi che mi sono cari e a cui, nel mio piccolo, mi dedico tuttora come cittadino ˗ come quelli di un giustizia, istituzionale e non, più autenticamente realizzata e di una maggiore vicinanza del Palazzo rispetto alla gente ˗ non potevano rimanere estranei al mio pensiero e alla mia scrittura. Certo non potevano non comparire, nel mio tentativo di “affresco sociale”, proprio quel mondo di cui mi sono occupato per tanti anni e quelle sofferenze tra cui mi sono mosso, spero anche con umanità, oltre che adeguatezza professionale.

Tuttavia Messa alla prova è qualcosa di ben diverso, tanto che non lo ritengo nemmeno un romanzo giudiziario; tanto meno a tesi, meno che mai un pamphlet.  La messa alla prova processuale è sicuramente uno spunto-base; ma non è l’unico ed essere messo alla prova è esperienza esistenziale di ciascuno di noi, ad ogni età. Nel romanzo, infatti, la messa alla prova, nel senso più ampio e anche suggestivo del termine, coinvolge in qualche modo tutti, ragazzi e adulti, volenti o nolenti, consapevoli o meno. Nel quotidiano più o meno complicato delle storie individuali e delle relazioni con gli altri e con le istituzioni, si scopre la necessità di mettersi in gioco e di cambiare anche punto di vista, se si cerca di realizzare più compiutamente la propria umanità. Diversamente, si sceglie, consapevolmente o nei fatti, di rimanere sulle proprie posizioni, dovendo comunque fare i conti con qualcosa di immanente per tutti.

A chi solleva qualche obiezione sul fatto che nel romanzo non sempre le istituzioni presentano il loro volto migliore, rispondo dicendo che nella realtà della vita purtroppo è così; non sempre per specifica colpa di qualcuno, ma per una serie concatenata di cause e concause, tra cui, certamente, non è escluso il “fattore umano”.  Ritengo, infatti, che per il servizio alle persone svolto dalle istituzioni, in particolare da quella giudiziaria, minorile in primis, siano indispensabili una motivazione specifica, una specializzazione adeguata ed anche il mantenimento di un’ottica problematizzante, senza assiomi ma con tanta voglia di costruire insieme nuove dimostrazioni muovendo dalle reimpostazioni dei problemi legate alle dinamiche sociali.

Insomma, credo che le istituzioni abbiano il volto delle persone che dentro di esse si spendono, con tanti sforzi e, di solito, pochi strumenti, per riuscire a trattare ogni situazione nel modo più adeguato, pur con la consapevolezza che, talvolta, non resta che cercare la soluzione meno dannosa per quel caso.

I protagonisti del romanzo non sono affatto perfetti, anzi hanno tutti tanti problemi, che cercano di risolvere a volte male, altre malissimo, altre benino o bene; ma che, almeno coscientemente, non cercano di rimuovere. Non sono certo personaggi modello o eroi senza macchia e senza paura, ma si  “sporcano  le mani” e guardano alle situazioni anche con gli occhi  delle persone che incontrano, dentro e fuori le sedi istituzionali.

Il romanzo vuole suggerire una “morale della favola”? Credo che, come usa oggi in ogni genere di fiction, il finale sia molto “aperto” a ogni possibile ulteriore novità e cambiamento; senza trascurare che per morale della favola si può anche intendere la speranza nella concreta possibilità di diventare davvero persone migliori, grazie a relazioni più autentiche con gli altri (che certamente migliorano anche le motivazioni delle nostre prestazioni professionali).

Certamente i personaggi del romanzo che hanno coltivato quella speranza alla fine sono cambiati tutti, in meglio. L’adolescente Vito, che, sottoposto anche alla prova processuale, aveva più di tutti aveva il compito di farlo; ma anche tutti gli adulti, grazie anche -se non, a volte, soprattutto- allo spirito di iniziativa delle donne in cui si imbattono o alle emozioni che dalle donne muovono e a volte alle donne ritornano per rendere tutti persone migliori.

Cerco di immaginare se anche Gianrico Carofiglio (scusate l’ardire del paragone, ma tento solo di farmi capire) abbia subito diffidenze od osservazioni dal mondo da cui proveniva, viste le ambientazioni dei suoi romanzi legati alla figura dell’avvocato Guerrieri … Certamente, leggendo alcune descrizioni dei magistrati e del loro operato presenti nei suoi gialli, molti avrebbero potuto avere motivo di perplessità, risentimento o quantomeno obiezioni. “Partiva dalla realtà del suo ambiente?” “Chi era rappresentato? ’”  “Perché le donne non sono mai state presentate negativamente?” …  Domande che probabilmente gli sono state poste, ma le avventure dell’avvocato Guerrieri hanno continuato a dipanarsi a lungo, fino a La regola dell’equilibrio; certo non “dolce” o pacata nella rappresentazione di pensieri e azioni di alcuni uomini delle istituzioni, ma grande tributo alla ricerca di verità e di una giustizia giusta, che poi dovrebbe essere compito quotidiano per ognuno di noi.

E così siamo tornati al punto iniziale del discorso: le narrazioni, quando si sforzano di essere narrazioni di vita, sono anche un modo per testimoniare questo sforzo.  Descrivere, anche in una fiction, qualcosa che non va o potrebbe andare meglio grazie agli uomini che vivono dentro un’istituzione, penso sia segno di grande affezione per quell’ istituzione, ma soprattutto testimoni lo sforzo di provare ancora simpatia e fiducia per la nostra umanità malata,  sempre più autocentrata e immersa in orizzonti chiusi, nonostante le sicurezze dei proclami, “social” e no, dei nostri giorni.