Rivista trimestrale Nuovi incontri – Torino Recensioni
a cura di Ornella Pozzi
MESSA ALLA PROVA
di Ennio Tomaselli,
il romanzo di un magistrato
Il romanzo di Ennio Tomaselli colpisce innanzitutto per la profonda autenticità: personaggi temi e situazioni comunicano una verità e una vitalità che non possono lasciarci indifferenti,ma che anzi ci coinvolgono e ci inducono a rispecchiarci nella narrazione per riflettere sulle nostre problematiche di uomini e donne, di genitori, di cittadini.
“Messa alla prova” è un affresco della società contemporanea che tratta il tema del disagio minorile, dei ragazzi in affidamento o adottati, a volte con successo, a volte da genitori che non sono in grado di coglierne le esigenze più autentiche e che proiettano su di loro i propri desideri insoddisfatti.
Ci sono minori strappati da una Giustizia miope e formale alle famiglie d’origine ritenute inadatte a crescerli, e minori abbandonati dai padri naturali e che perciò soffrono l’indelebile trauma della perdita (“un buco nero, un vuoto incolmabile…sospeso fra certo e incerto, vita e morte, senso e assurdo”).
La solitudine di questi adolescenti e il loro senso d’inadeguatezza si traducono spesso in rivolta, il loro comportamento irregolare li spinge ai margini della società e, in alcuni casi,addirittura al suicidio.
Per il giovane Vito, il protagonista della storia, la “messa alla prova” disposta dai giudici del tribunale minorile diventa un percorso di formazione che nasce dall’ appassionata ricerca dei propri genitori d’origine per diventare ricerca di se stesso e del senso della vita, risposta ai propri interrogativi esistenziali.
Il ragazzo approda alla maturità quando, dopo una serie di peripezie, ritrova i propri genitori e, scoprendoli fragili e malati, si accorge che da quel momento egli è chiamato ad essere padre di se stesso, cioè individuo autonomo in un mondo adulto.
Il romanzo di Tomaselli è quindi anche romanzo sulla vita. L’autore ce lo ricorda spesso, sia attraverso la narrazione in terza persona sia attraverso pensieri e frasi dei suoi personaggi:“La geometria della vita è fatta a modo suo e certamente non è quella di Euclide” o “È la vita che funziona così, al di là di quello che noi chiamiamo bene o male, giusto o ingiusto”.
“Messa alla prova” ha il respiro del romanzo classico di tradizione realistica (non a caso i frequenti riferimenti a “I promessi sposi” e a “I malavoglia”) e affronta temi universali. La “ricerca del padre” è già di per sé tema mitico, che affonda le radici nell’antichità: è presente nell’“Odissea”, per ricomparire in chiave moderna nell’“Ulisse” di Joyce e ne “Il primo uomo” di Camus, tanto per citare alcuni esempi.
Il carattere universale del romanzo come riflessione sulla vita appare evidente non solo nel personaggio di Vito ma anche nei due adulti Moreno e Malavoglia, le cui solitudini si intrecciano con quelle del rotagonista, tanto che i due stringono con il ragazzo una sorta di solidale patto di alleanza, lo accompagnano e lo guidano nelle sue ricerche, vivendo anch’essi in modo sofferto il problema del complesso rapporto tra giustizia e ingiustizia, bene e male, vero e falso. Cancelliere l’uno, magistrato minorile l’altro, pur con personalità completamente diverse, sono entrambi personaggi in qualche modo borderline: non essendo completamente integrati nel sistema,essi sono in grado di proporre un punto di vista alternativosulla realtà, una visione di ciò che è giusto e sbagliato molto più ampia e variegata di quanto non facciano alcuni rigidi detentori della legge fine a se stessa che a volte perdono di vista il senso delle cose. Sia Moreno sia Malavoglia vivono nel mondo della Giustizia come istituzione ma si muovono verso un ideale di giustizia umana e civile superiore al di là delle leggi; al contrario, altri rappresentanti del Diritto spesso non sono in grado di cogliere la peculiarità delle situazioni, il carattere mobile e fluido della realtà e decidono in base a schemi e regole precostituite.
Malavoglia ha ben chiari i principi etici che devono animare le decisioni di un giudice: deve avere, oltre al sapere giuridico,“l’anima e il senso della realtà e del limite”, deve “essere umile”. Malavoglia giunge persino a scrivere, con un pennarello rosso, su una parete di un’aula d’udienza del tribunale, la massima latina “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”. Pur definendo se stesso “letterato mancato e magistrato fallito”, sente l’esigenza di condividere la propria esperienza in un libro, “Procuratore che farne”, che “è come un diario che però contiene anche qualche messaggio”, “un originale impasto di lessico giuridico e post ideologico…, una contaminazione di problematiche giuridiche e della quotidianità”. Malavoglia è il letterato e il filosofo del romanzo e, data l’età (ha varcatola soglia dei 66 anni), funge anche da “memoria storica” e“guardiano del faro”, come lui stesso si definisce.
Moreno, di tre anni più giovane di Malavoglia, è caratterizzato da comportamenti trasgressivi e a volte adolescenziali. Ex sessantottino casinista ed eccessivo, burlone con aria da macho, anticonformista anche nell’ atteggiamento esteriore, con barba incolta, zainetto, capelli lunghi e codino (almeno da un certo punto del romanzo in poi) è “uomo libero per natura”. La molla dell’agire di Moreno, “magistrato mancato”secondo la definizione di Malavoglia, è il ricordo cocente di un’esperienza di ingiustizia subita quando, non ancora trentenne,fu espulso dal concorso per la magistratura. Ribaltando le carte la Giustizia aveva quel giorno ritenuto il vero colpevole“immune da colpe… vittima da tutelare”, punendo lui, il cittadino onesto.
Se l’esperienza di emarginazione lo avvicina a Vito, l’aspirazione alla paternità lo accomuna a Malavoglia: Moreno cerca un figlio da amare, Malavoglia è stato segnato da una tragedia in cui ha perso la moglie e il figlio che lei portava in grembo.
Non solo Vito, Moreno e Malavoglia, ma quasi tutti i personaggi del romanzo, dai maggiori ai minori, rivendicano una personale forma di giustizia e intraprendono un percorso che li conduce a un superiore livello di maturità.
Questo accade anche ai numerosi personaggi femminili, appartenenti a culture e contesti sociali diversi, ma accomunati da un’esperienza di sofferenza e di dolore. Anche attraverso di loro capiamo che il titolo “Messa alla prova” non è soltanto riferito a un provvedimento giuridico ma è anche una metafora della vita che continuamente ci sottopone a prove da superare.
Il romanzo si sviluppa nell’arco di sedici mesi tra Torino e Novara, estendendosi per qualche episodio a Parigi e in Lombardia. Il paesaggio è prevalentemente urbano e le sobrie pennellate paesaggistiche e meteorologiche sottolineano il trascorrere del tempo con momenti di intenso lirismo, come quando i personaggi sono colti a guardare dalla finestra o dai finestrini di un tram o le loro solitudini si accompagnano a quelle del vento che rimane “solo anche lui lungo la strada”.
In questi spazi, che assumono a loro volta il ruolo di protagonisti, l’autore ci presenta un microcosmo dove i personaggi si intrecciano, si incontrano e si scontrano quasi come in un romanzo picaresco, sfaccettato e poliedrico. Incontriamo il mondo dei magistrati e dei giudici, degli immigrati marocchini e rom, degli emarginati e sbandati nella degradata periferia torinese, di coloro che da decenni sono emigrati dal Sud al Nord Italia alla ricerca di un’occupazione, di italiani che ancora si stabiliscono all’estero per sopravvivere. I personaggi non sono tanto descritti dall’esterno quanto mostrati dal di dentro, “rivelati” dai loro monologhi e dialoghi. La pietas dell’autore pervade il romanzo e conferisce a questo mondo di emarginati una dignità quale raramente possono trovare nella letteratura italiana contemporanea.
Dalla trama principale si sviluppano, in un sottile gioco di echi e di rimandi, trame secondarie che richiamano, in modo sempre diverso, i temi principali del romanzo: la solitudine e il vuoto, l’abbandono, l’emarginazione, la ricerca che dà un senso alla vita (Malavoglia: “Se si smette la ricerca finisce,spesso, anche la vita”).
Così dal nucleo centrale del romanzo, che ruota attorno ai personaggi di Vito, Moreno e Malavoglia, si dipanano le storie di Frank tre carte, Rosy e Samantha, di Francesca e Gianni Archibugi, di Ana e Andrej, di Senada e Jovan, di Mounira e Hamza, e altre ancora.
“Messa alla prova” è un romanzo polifonico; leggendolo si ha l’impressione di assistere quasi a un concerto in cui si intrecciano una varietà di voci e motivi: al linguaggio giuridico di udienze e verbali si alterna il registro meditativo, poetico, a volte elegiaco, di Malavoglia, spesso ricco di metafore, come nel capitolo “Navigazioni notturne”, dove Malavoglia riflette sul suo lavoro di “scafista buono” che salva dal “naufragio”traversando “acque inesplorate”, “seguendo carte vecchie e approssimative” ”alla direzione indicata dalle stelle” ”nel Mediterraneo illuminato solo dalla luna”. A questo linguaggio “alto” si contrappone il gergo crudo, colorito e irriverente dei giovani che vivono a contatto con la droga e la criminalità e che hanno vissuto l’esperienza della comunità e del carcere.
Un esempio è Mounira quando apostrofa Vito al primo appuntamento con lei: “Minchiaa….Col tram! E magari hai pure pagato il biglietto! Non hai pensato, cocco bello, di prendere un taxi e poi di buttarti giù al volo mandando il taxista a farsi fottere?”. O ancora il linguaggio ricco di pathos, semplice e quotidiano, di una donna del popolo come Francesca, la madre di Vito: “Questa ingiustizia è così, ti schianta dentro…e così uno rimane come prigioniero. Del senso di colpa, perché ti senti una merda, e del tempo, che passa inesorabile contro di te”.
Non mancano episodi umoristici che alleviano la tensione drammatica di alcune vicende: lo humour nasce dalle situazioni, per esempio quando Moreno si impossessa clandestinamente dei documenti di Clementini (il presidente del tribunale di Giustizia minorile di Novara) o si vendica contro di lui,oppure ancora quando gioca un brutto tiro a Malavoglia sul piano amoroso; o infine quando l’autore strizza l’occhio al lettore nell’episodio in cui Malavoglia presenta il suo libro al pubblico. Lo humour è anche nel linguaggio, come nell’episodio in cui Malavoglia si rivolge scherzosamente a Dio, apostrofandolo come se fosse un vicino di casa: “Non so nemmeno come chiamarti, visto che sei, oltre che extracomunitario,uno e trino, quindi sfuggente e magari capriccioso e testardo come un adolescente”.
Le numerose similitudini sintetizzano lo stato d’animo dei personaggi (“Le parole gli uscivano dalla bocca gelide come panni rimasti appesi fuori, sui fili della biancheria, in una notte d’inverno”), oppure creano un effetto di straniamento,allentando l’impatto emotivo del lettore: “Come se al circo un pagliaccio avesse tirato di botto una finta torta in faccia allo spettatore”; “Non restava che piangere mentre scendeva la neve, come nelle canzonette”; “Era come se la pallina stesse schizzando a suo piacimento sulla roulette della vita”. Spesso le similitudini sono tratte dal mondo sportivo, soprattutto del calcio, o da quello del cinema, e paragonano le vicende dei protagonisti a gare sportive o a scene di film.
Penso che un romanzo non proponga un messaggio univoco ma che i messaggi in esso contenuti possano essere tanti quanti sono i lettori. La dedica di “Messa alla prova” (“Alle ragazze e ai ragazzi che ho incontrato nel mio lavoro”) ci offre una chiave di lettura, parlandoci dell’affetto e del coinvolgimento personale dell’autore, che è magistrato, ma anche uomo sensibile e partecipe, che ha svolto la sua professione con impegno e passione.
La lettura di questo romanzo, oltre al piacere che sempre comporta leggere un libro che coinvolge, ha significato acquisire consapevolezza di problemi e situazioni spesso conosciuti poco e solo marginalmente.
In una società come la nostra, che tende a considerare i più deboli come un’anomalia da ignorare, se non addirittura da disprezzare, “Messa alla prova” è importante per capire che, come cittadini consapevoli di una società civile, non possiamo non ritenerci almeno in parte responsabili di ciò che accade intorno a noi.