L’esperienza reale e metaforica del rinascere era stata al centro della mia ultima riflessione, dopo la presentazione alla libreria Nuova Rinascita di Brescia.

Non sono passati molti giorni, ma sembra che sia trascorso un tempo infinito perché nel frattempo siamo tutti, poco o tanto, cambiati.

Da un certo numero di giorni ci troviamo “ristretti” nelle nostre case, dove finiamo per riflettere, volenti o nolenti, a lungo o solo per qualche attimo, sulla vita, sul suo significato, sulla sua fragilità e anche sulla possibilità, reale e talvolta prossima, della morte.

Pur essendo quest’ultima, ahimè, una realtà concretissima, nel nostro tempo e nella nostra cultura viene esorcizzata il più possibile. Lo sapevamo già, l’hanno già scritto e detto in tanti; ma colpisce comunque che, ad esempio, nei notiziari, accanto al numero dei “caduti” di questa guerra quotidiana, vengano immediatamente aggiunte rassicuranti precisazioni sull’età avanzata e sullo stato di salute già compromesso delle vittime.

Il signor corona virus (o Coronavirus, insomma il Covid 19) ci ha costretti a osservare da vicino le nostre debolezze, a rimuoverle o temerle, ma per fortuna ha anche messo in luce virtù umane e professionali, impegno e solidarietà, competenze scientifiche e spazi di pura creatività.

Certamente ci sono stati e ci sono episodi di scarso o nullo senso civico, trasgressioni pericolose, ritardi e disorganizzazioni. Ci sono stati e ci sono i soliti sbruffoni da tastiera che sentenziano, esperti di tutto, sui social, i truffatori a domicilio, i propalatori di fake news, spesso per nulla innocue.

Ma tutto ciò è sovrastato, in me e mia moglie Rosamaria, dal pensiero dei luoghi della mia ultima visita “letteraria”, da cui non a caso sono partito in questa riflessione: la città di Brescia, così tragicamente provata e così vicina alla Bergamasca e alla città di Bergamo, travolte da un vero tsunami. Le immagini di quei carri militari che portano bare fuori dalla città non richiedono commenti e rendono vano ogni nostro sforzo di rimozione.

Il dolore profondo dei tantissimi che non hanno potuto (e non possono) né accudire né seppellire i loro morti, l’abnegazione dei soccorritori, degli assistenti, volontari e non, dei medici, a volte gettati nella mischia giovanissimi, con ancora addosso il profumo della loro corona d’alloro di laurea…

Sono immagini e voci che abbiamo in mente tutti. Penso, comunque, che tutto ciò sottolinei quella capacità di rinascita e resilienza su cui riflettevo l’altra volta.

Una capacità non a buon mercato, ovviamente, che si alimenta di serietà, di abnegazione non ostentata, di impegno ai limiti o oltre i limiti del sacrificio, un’immagine -finalmente- dell’Italia seria che, al di là dei tanti e rinascenti sovranismi, diviene icona nel mondo di un coraggio operoso e di una solidarietà aperta alla speranza.

Per questo dobbiamo condividere questo sforzo. Costerà al Paese e a ciascuno un prezzo altissimo in termini di lutti, fatica, sofferenza fisica e psicologica, sospensione di affetti e relazioni, lavoro, privazioni e deprivazioni economiche; ma siamo consapevoli, ormai, che questo è l’unico, concreto, passaporto per uscirne fuori, spero più convinti delle nostre necessità e risorse reali.

L’importante è davvero, come è stato detto, non sprecare questi giorni difficili. 

E allora in questi giorni bui, illuminati però dal sole di primavera (la natura, secondo alcuni filosofi, ci sostiene; secondo altri, semplicemente, ci ignora), vorrei davvero esprimere, anzitutto alla gente lombarda, questo augurio (lo spunto mi è stato suggerito da Rosamaria), la cui attuazione richiede sforzo di volontà per guardare oltre:

 “Vi faccio questo augurio. Che anche voi, scrutando i segni, possiate dire così: resta poco della notte, perché il sole sta già inondando l’orizzonte.   (Tonino Bello, 1935-1993)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cielo è terso, il sole quasi tiepido, i refoli discreti di vento potrebbero trarre in inganno e far pensare a una primavera imminente, ma siamo invece nei “giorni della merla”, quelli che un tempo erano i giorni più freddi dell’anno.

Piazza della Loggia, il cuore storico di Brescia, si apre nel sole tra palazzi e orologi veneziani, con il monumento della Bella Italia, dedicato alle vittime risorgimentali delle dieci giornate. Si direbbe orgoglioso di sorgere sul luogo del deposto leone di s. Marco, ma qualche turista, seduto sugli scalini del suo basamento, non sembra comprendere a che cosa si riferisca e consulta perplesso la guida turistica.

Non è il solo monumento: più cupo, sotto i portici, c’è il cippo con i nomi delle vittime della strage del 1974, quando, in una piovosa giornata di maggio, una bomba cercò di cancellare il desiderio di testimonianza democratica della città. Il segno di un recente e, per certi versi, ancora oscuro passato, presso il quale si soffermano, per lo più, turisti dai capelli grigi, silenziosi e con l’espressione severa.

In questa piazza si trovano riuniti molti segni di rinascita: le architetture veneziane rinascimentali, il ricordo di un moto di popolo del Risorgimento, la memoria di un momento buio della storia del ‘900 dal quale la città ha saputo rinascere senza cedimenti. Rinascere significa, in effetti, vivere una vita rinnovata ed implica energia e slancio vitale; il tutto ben percepibile, forse, anche grazie a questo inganno di primavera.

Del resto, a pochi passi da piazza della Loggia, proprio nella Nuova libreria Rinascita, mi attende l’ennesima Messa alla prova come presentatore. Una libreria grande, dall’aria giovane e dinamica, che si è trasferita in questa centralissima sede dal 2015, proprio con l’intento di far parlare di libri e animare incontri culturali in città.  Il nome rivela “l’anima” della cooperativa sociale che l’ha fatta nascere e fa percepire la volontà di cercare di conoscere e affrontare insieme, in modo concreto e nel quotidiano, i problemi sociali.

Insomma, un ambiente molto accogliente, del tutto adatto a questa Messa alla prova itinerante.

I miei personaggi, ormai lo sappiamo, si sanno ambientare un po’ ovunque, ma qui hanno trovato  la cordialità di un  pubblico, in maggioranza giovane, subito coinvolto; un’analisi attenta attraverso le parole dei presentatori, una risposta di interesse concreto da parte di molte persone liete di ritrovarsi nelle vicende di Vito, nei dilemmi non solo giuridici di Malavoglia, ecc… L’occasione non diciamo, di sicuro,per rinascere, ma per rivivere certi percorsi attraverso storie fantastiche eppure non lontane né astruse.

Tutto ciò costituisce certamente un incoraggiamento per l’autore; ma anche una testimonianza – ancora una volta e come ormai in più città di regioni differenti – dell’esistenza di tante persone intenzionate a voler andare più a fondo, per superare una quotidianità vissuta come routine, anche rispetto alla propria funzione o al ruolo istituzionale.

In effetti, vivere consapevolmente il proprio impegno di rinnovamento come cittadino o professionista rappresenta davvero una piccola rinascita di speranza. Da sempre, dai tempi degli orologi veneziani a quelli più vicini a noi, tormentati e messi alla prova, talvolta, anche dalle difficoltà della democrazia nell’affermare pienamente e difendere se stessa.

Ci si deve, però, impegnare e continuare a provare in tutti i modi. Anche leggendo libri, scritti da qualcuno che certo non si sottrae al compito di (continuare a) andarli a presentare…

 

 

IL SILENZIO DEI VIVI

La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti.

Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolore! Il mio impegno in questo senso è un dovere verso i miei genitori, mio nonno, e tutti i miei zii. E’ un dovere verso i milioni di ebrei ‘passati per il camino’, gli zingari, figli di mille patrie e di nessuna, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e verso i mille e mille fiori violentati, calpestati e immolati al vento dell’assurdo; è un dovere verso tutte quelle stelle dell’universo che il male del mondo ha voluto spegnere…

I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato è storia, e la storia di oggi si sta paurosamente ripetendo.

                                                                                                                             Elisa Springer, Il silenzio dei vivi

RITORNERÀ LA PACE?

È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare. Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ci ucciderà, partecipo al dolore di migliaia di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno la pace e la serenità.

Diario di Anna Frank

 

 

 

 

Sappiamo già che il Buon Governo dipende anzitutto da noi, dalla continuità del nostro impegno per un mondo più umano e più giusto. Io e Rosamaria la assicuriamo, nel nostro piccolo, anche per il 2020.

Un anno in cui ci sarà, da parte mia, un’altra novità…

 

 

Non so se sono io che accompagno lei o lei che porta me; fatto sta che, nell’ultima parte dell’anno, con Messa alla prova sono stato nuovamente, e parecchio, in giro, in contesti anche notevolmente differenti.

Il primo pubblico, il 13 novembre, è stato di adolescenti: molti, circa duecento. Si trattava di studenti di un istituto scolastico ubicato in una zona post industriale alle porte di Torino.

Non eravamo a scuola, ma nei locali di una nuova e attrezzatissima Biblioteca Civica multimediale, la più grande del Piemonte, presso la quale si organizzano anche progetti per la socializzazione dei giovani.

Il direttore generale della città (Settimo Torinese), una rappresentante dei Servizi sociali di zona ed io abbiamo cercato, partendo dai contenuti e dai personaggi del romanzo, di fornire ai ragazzi, oltre che informazioni, qualche chiave di lettura di una realtà complicata ma comunque vicina alle loro esperienze e percezioni.

Le domande, come molto spesso fanno i ragazzi, sono state poste all’autore con riferimento, soprattutto, alla sua vita e alle sue opinioni su certi temi, anche al di là del romanzo. Quindi, ancora una volta, giovani “affamati” di testimonianze e di parole sui modi di “spendersi”, per riuscire da parte loro ad entrare in empatia con l’argomento, una storia di qualcuno o qualcosa a portata di mano.

Spero di essere riuscito a soddisfare, almeno in parte, questa “fame” di ascolto. Non è solo questione di suscitare e mantenere la loro attenzione. Lo sforzo è farli coinvolgere emotivamente ˗ questa volta attraverso un romanzo ˗ su questioni che li riguardano a volte da molto vicino, ma che rischiano di sembrare astrazioni lontane dalla loro vita.

A fine mattina Malavoglia e soci hanno ripreso il “trenino” locale, questa volta verso Torino, riflettendo su quei ragazzi e quelle ragazze. Non importa, o importa solo fino a un certo punto, se e quanti di loro leggeranno Messa alla prova. L’importante, anzi l’essenziale, è che si rendano ben conto che la messa alla prova, nella vita, c’è anche se non si vede, per tutti.

Dopo gli spazi modernissimi della Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, a fine novembre Messa alla prova si è tuffato nei vicoli del centro storico di Genova, a pochi passi dal Duomo e dalla casa di Colombo, in un giorno di eventi e personaggi di ben altro rilievo rispetto a quelli del romanzo. Si apriva, infatti, il Congresso annuale dell’Associazione Nazionale Magistrati, alla presenza anche del Presidente della Repubblica.

Lo spazio, fornito dall’associazione culturale che ci ospitava, questa volta era ristretto. Ma ciò ha consentito agli intervenuti, fra cui il presidente del Consiglio Regionale Ligure dell’Ordine degli assistenti sociali, di condividere quasi fisicamente, oltre che appassionatamente, il dialogo su cui era incentrata la presentazione: quello fra me e due magistrati, uno dei quali è il presidente del Tribunale per i minorenni di Genova. Come al solito, Malavoglia e gli altri personaggi adulti hanno suggerito al pubblico stimoli di riflessione differenziati, mentre le vicende di Vito sembrano trovare subito immediata empatia, ma poi generano anch’esse diversi filoni di discussione.

Al di là degli specifici punti di vista, ciò che mi stupisce ogni volta è come la realtà delle esperienze, anche professionali, di pubblico e presentatori si senta interrogata dalle dinamiche e dalle relazioni dei personaggi del romanzo, come se questi fossero dei potenziali veri utenti, su cui misurare le risorse e le proprie scelte. Quelle già fatte o potenzialmente da fare.

Vito e i suoi compagni di messa alla prova esistenziale sono lusingati da questa verosimiglianza, anche se a volte vorrebbero ˗ me lo hanno fatto capire ˗ anche un po’ di autonomia come veri personaggi di un romanzo, struttura narrativa aperta alle metafore e alle suggestioni. Finirà, come in qualche opera celebre, che prenderanno loro in mano la situazione per organizzarsi e presentarsi da soli, così come ritengono di essere …

Differente la finalità dell’incontro svoltosi il pomeriggio del 6 dicembre nel Palazzo di Giustizia di Firenze, organizzato dalla Camera Minorile di quella città.

Qui si trattava di fare una riflessione sullo strumento della messa alla prova a trent’anni dall’entrata in vigore della normativa che introdusse nel nostro ordinamento questa ed altre novità. Il pubblico era essenzialmente di avvocati, ma c’era anche un magistrato minorile e, credo, qualche operatore dei Servizi.

Il mio intervento (La messa alla prova fra diritto, realtà della vita e suggestione letteraria) partiva dalla mia esperienza della map sul campo e dalla mia valutazione di essa. Ho ( in estrema sintesi) segnalato come, secondo me, questa esperienza, con tutte le positività e talune difficoltà ˗ da valutare in un’ottica pluralistica e pluridisciplinare, così come è collegiale e “misto” il giudice minorile ˗, negli anni abbia messo in luce sempre di più l’importanza di un atteggiamento culturale “aperto”, sempre attento alle nuove dinamiche delle relazioni, culturali e sociali, e ai nuovi bisogni educativi.

Tutto questo, poi, ha acquisito in chiave letteraria connotati suggestivi, se non proprio simbolici. Nelle pagine di Messa alla prova “parla” la realtà di storie difficili, ma possibili e vere, in territori difficili e veri delle nostre città e dei nostri giorni. Una realtà da cogliere attraverso emozioni, esperienze e sogni dei personaggi… e anche dell’autore.

Messo ulteriormente alla prova da queste tappe del viaggio (le ultime del 2019, ma non le ultime in assoluto: ho già una “data” nel 2020…), con il mio libro in borsa o in valigia ho ripensato, nel ritorno, a quanto devo ai miei personaggi da quando il romanzo è uscito ed è iniziata questa serie di eventi grandi e piccoli (35, al momento). Mi hanno avvicinato a esperienze anche molto diverse, a differenti paesaggi, a realtà territoriali spesso molto sensibili, partecipi e coinvolte. Sempre, perlomeno, interessate.

Così, riponendo il libro nello scaffale di casa, è sembrato anche a me ˗ fantasiosamente, è ovvio ˗ di sentire uscire dalle pagine la voce “Nati vivi, vogliamo vivere”. Vorrà dire che, pur nel microcosmo di Messa alla prova e del suo autore, i personaggi sono capaci di avvicinare ancora di più, e più profondamente, alla vita l’autore e, si spera, anche i lettori.

 

Videoclip intervista presso Bagni pubblici di via Agliè, Barriera di Milano, Torino

  https://youtu.be/d3i0RG0XvqU

 

È molto interessante, in tram o su un bus urbano, osservare gli altri passeggeri, soprattutto se il percorso è lungo e si snoda per più quartieri della città.

Che quasi tutti, in piedi o seduti, stiano a capo chino su qualche dispositivo elettronico è fatto risaputo.

Che ci sia ancora qualcuno, per lo più donna, che legge qualche libro cartaceo è un’eccezione che incuriosisce. Anche perché, a volte, si tratta di volumi di un discreto numero di pagine. Non è, per lo più, difficile capire che sono gialli o noir o, forse, rosa (talvolta il titolo è enigmatico o fuorviante). C’è anche qualche classico.

Da qualche tempo, però, ci sono anche gruppetti di signore (sempre le donne…) che parlano tra loro, cosa d’altri tempi. In effetti non sono, di solito, persone giovani; ma, comunque, l’età è variegata, come la piccola tavolozza cromatica dei testi. Lo spunto scaturisce, pressoché immancabilmente, da un disservizio o da un problema contingente: ritardi, deviazioni, scioperi, ecc… Ma poi si passa ai commenti sulla realtà di oggi, sui problemi della città e non solo. Con qualche parolone, si potrebbe dire che si sfiorano temi politici in una comunicazione social non virtuale; anche, ovviamente, con il consueto contorno di frasi fatte, spesso attinte di peso dalla televisione.

A conferma delle tesi di sondaggisti e sociologi, un tema ricorrente è la paura: paura per una percepita mancanza di sicurezza, paura per un futuro economicamente incerto, paura -da qualche tempo- per il futuro climatico del pianeta, paura per il futuro di figli e nipoti. A volte c’è anche sdegno, misto a voglia di cambiamento, per la sorte di tante donne vittime di violenza o di sopraffazione (e di questo parlano, davvero, solo le donne), o per il riaffiorare di episodi di razzismo e di prevaricazione.

Si parla molto dei giovani, minori e non. Considerati, di solito, bravissimi i “ragazzi di Greta”, di Friday for future; bravi i ragazzi che sono costretti ad andare all’estero per lavorare e, magari, affermarsi; bravi i tanti ragazzi che fanno volontariato.

Contenuti e toni cambiano di brutto quando si tocca il tema della delinquenza giovanile.

Con il racconto, più o meno preciso, dei fatti, iniziano le deprecazioni di rito sulla mancanza di valori (ma chi li dovrebbe riaffermare? -ndr), sul fatto che non c’è più educazione (ma chi la dovrebbe impartire? -ndr), sulle punizioni inadeguate. Nell’immaginario legato a questi discorsi il panorama giovanile è cupo. E allora sembra divenire prevalente la voglia di punizione severa ed esemplare come unico rimedio e unica forma di difesa dei cittadini. Con buona pace della nostra Costituzione, sbandierata in ogni tempo a seconda delle convenienze, che sottolinea, invece, la funzione riabilitativa della pena (Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato); a tacere della lettera e dello spirito di intese internazionali sottoscritte dal nostro Paese e di quanto prevede, in particolare, la procedura penale minorile.

Bisogna, certo, considerare che questi gruppi di discussione sono autoreferenziali e auto rassicuranti nella uniformità dei pareri, perché sono poche le persone, kamikaze della discussione tramviaria (ancora, prevalentemente, donne), che osano “entrare” seminando dubbi (qualche volta, per esempio, lo fa mia moglie e torna a casa miracolosamente indenne e decisamente “su di giri”). Tuttavia questi discorsi, in linea con tante e ben più accanite affermazioni sul web, fanno riflettere, soprattutto se ci si interroga sul da farsi.

Perché i ragazzi del carcere minorile di Torino sono da elogiare se offrono alla città i loro prodotti dolciari e i loro cioccolatini, frutto del lavoro nei laboratori, mentre le leggi che consentono messa alla prova o lavoro esterno, in base anche alle capacità acquisite in carcere, sono considerati, in genere, frutto di mentalità buonista e poco lungimirante?

In incontri e dibattiti anche recenti ho riscontrato ancora una volta che c’è davvero tanto bisogno di informazione capillare e corretta. Che, però, dovrebbe essere tale a tutti i livelli: la narrazione mediatica, l’interpretazione e la valutazione di esperti o presunti tali, il confronto da svolgere in ogni sede utile, formale e informale. Solo così si può sperare che l’ottica complessiva sia più equilibrata, l’ansia ridimensionata e la discussione proficua e costruttiva.

Una frase ricorrente, quasi una formula magica sulla bocca di tutti, è: “Bisogna cominciare dalle scuole”.

E nelle scuole, infatti, si dovrà continuare ad andare, incontrando ragazzi che hanno curiosità o sollecitandole. Si dovrà continuare a vederli nei luoghi di aggregazione, dove arrivano anche incanalati, coraggiosamente, dal lavoro sommerso di tanti insegnanti. Continuerò, nel mio piccolo, a farlo anch’io.

Ma non è tutto. Penso proprio che la parola serena e appropriata, che nutre l’informazione corretta, debba acquisire in tutta la società una forza maggiore, essere una specie di testa d’ariete, antagonista rispetto ai fiumi di parole vuote, inutili, autoreferenziali; usate anche, spesso, come manganelli. Ben vengano i momenti di riflessione, i convegni e i seminari, purché offrano spazi di confronto e dibattito autentici. Ben venga anche una saggistica mirata ad una divulgazione corretta (nel mio piccolo ho cercato di farlo con Giustizia e ingiustizia minorile. Tra profonde certezze e ragionevoli dubbi, semplificando il linguaggio senza banalizzarlo).

Oggi anche gli storici riscoprono, per sensibilizzare alla memoria storica, gli strumenti della narrativa, sì da raggiungere la gente con racconti di storie e di vissuti. Credono anche loro, infatti, che la parola che racconta e descrive la realtà (e a volte la spiega) attraverso vicende che ci sono “passate accanto” possa essere davvero un segno di impegno e uno stimolo al cambiamento. La narrativa, del resto, è sempre stata uno strumento fondamentale, soprattutto per i giovani. Al di là delle apparenze, proprio loro, forse più di altri, sanno riconoscere e distinguere chi racconta mirando “alla pancia” e chi, invece, vuole “impregnare” le storie della propria esperienza o mettere in gioco anche la propria storia per dare, come si diceva una volta, testimonianza.

La narrativa, naturalmente, è anche e anzitutto fantastica e si nutre di emozioni, suggestioni, immagini, ecc… Ma anch’essa può essere uno strumento corretto ed efficace sul piano civile se la narrazione, quali che siano i suoi ingredienti specifici, può far compiere un passo in avanti nell’approfondimento, facendo “assaporare” cose che stimolano a condividere riflessioni costruttive.

Anche per questo ho scritto un romanzo e cerco, e cercherò, di continuare a spendere bene le parole che ho a disposizione. Altrimenti la realtà distopica, oggetto della narrazione di molti romanzi oggi in voga, potrebbe non essere più un topos letterario, ma la fotografia delle nostre vite e dei nostri cuori.

Videoclip:

https://drive.google.com/open?id=1Tk49egEMf4-Oy4JLSPT7WwKVfYMdjqmB

Quest’anno si è parlato molto sulle spiagge e di spiagge, si sono visti anche clamorosi esiti politici scaturiti dai proclami agostani fatti sotto il solleone.

Più sommessamente, anch’ io ho avuto di che chiacchierare sulla mia spiaggia, la Stella del Sud di Celle ligure, nome che metaforicamente vuole riassumere il fascino della costellazione più piccola e più luminosa.

Chiacchiere da vacanza, perché no, racconti dei giorni cittadini, commento degli avvenimenti, che appunto quest’anno hanno offerto anche sulle spiagge occasione almeno di brandelli di discorsi “impegnati”.

Ma quest’estate i bagnanti della Stella del Sud hanno potuto anche coinvolgersi nelle vicende dei nostri eroi, Vito, Moreno, Malavoglia e tutti i loro compagni di avventura, donne in primis.

Un aperitivo con presentazione, ai tavoli del bar della spiaggia, in mezzo ai “colleghi bagnanti”, quelli, per intenderci, che, incontrandosi sull’arenile, hanno come passaparola comune la domanda “è bella?”, intendendo ovviamente l’acqua in cui stanno per tuffarsi, chiedendo quasi agli altri un viatico, una garanzia per un bagno piacevole.

Una chiacchierata informale, ma davvero non superficiale, grazie agli stimoli del “bagnante” Pier Domenico Baccalario, noto autore di libri per “minori” prestato, questa volta, alla presentazione di un romanzo per tutti.

Ḗ stato bello vedere persone conosciute sotto altri aspetti dedicare attenzione alle trasgressioni di Moreno, alle ansie di Vito, alle tormentate decisioni di Malavoglia.  Un po’ come se la vita quotidiana di tutti noi, filtrata attraverso i sentimenti e le emozioni dei miei personaggi, emergesse trasformata in quei discorsi, sotto il sole dorato del tramonto, mentre alcuni, intorno, si affrettavano per l’ultimo bagno o facevano la coda per la doccia, incuriositi dal gruppetto di persone che parlavano sedute attorno a un libro.

Anche i bambini, attirati dall’ attenzione dei loro genitori e dalla capacità di sintesi e stimolo di Pier, solitamente storyteller per ragazzi, facevano corona intorno al tavolo e i loro occhi rivelavano la profondità della curiosità più autentica, che sa subito focalizzare le domande: “Quel ragazzo la troverà, poi, la sua mamma?”

 

Quest’anno si è parlato anche, tanto, di luna, visto il cinquantenario del viaggio e dell’allunaggio. E la luna non ha mancato di farsi vedere in molti chiari classici, da cartolina.

Appunto in un ambiente da chiaro di luna, molto speciale, sono proseguite le avventure rivierasche dei miei personaggi, con la loro (e forse mia) vita al seguito. Un notturno inglese, in un parco all’inglese, in una ex chiesa anglicana: tutto questo nell’elegante cornice di Bordighera, la città della Liguria un tempo più cara agli inglesi, ma in cui anche l’arte di Monet ha trovato ispirazione.

Il centro culturale del Comune ospitato nella ex chiesa ha aperto le sue porte al mio libro. Apertura anche nel senso letterale del termine, perché il pesante portone in legno è stato aperto, quella sera, proprio per accogliere il libro, me e il pubblico della presentazione. Così, dal tavolino del bar dei bagni della Stella del Sud, Messa alla prova, in una sera stellata, ha trovato autorevole collocazione sull’ex fonte battesimale, mentre l’autore e le sue presentatrici (Simonetta Rossotti e Simona Martinotti) hanno avuto la possibilità di dialogare nella postazione ex cathedra.

Anche qui un pubblico attentissimo, a volte con domande davvero interessanti ed impegnative, che coinvolgevano il punto di vista dell’autore sulla giustizia e sul modo di amministrarla.

Due presentazioni agli antipodi, per location e atmosfera, ma stranamente simili nelle dinamiche della relazione con il pubblico; che, nonostante il periodo estivo, il caldo e le distrazioni concomitanti, mi è sembrato davvero coinvolto, soprattutto sul tema di una giustizia più comprensibile ma soprattutto più condivisa e condivisibile. Uno dei temi più rilevanti nel dibattito democratico. Temi che, approcciati attraverso vicende “romanzesche” ma con la narrazione di una realtà possibile e vicina, acquistano motivo di rinnovato interesse e suscitano anche qualche desiderio di maggiore partecipazione come cittadini.

Pensavo proprio questo tornando al mio buen ritiro a Celle per gli ultimi scampoli di sole prima del rientro in città. Nelle domande che mi sono state rivolte in giro per l’Italia, spesso come denominatore comune c’è stato proprio questo desiderio di comprendere meglio, di essere messi in condizione di farlo, forse per prendere posizione, forse per cambiare idea o forse per consolidarla. Comunque, una domanda “matura” di cittadinanza, aperta al futuro, nonostante tutto.

Proprio come la domanda rivoltami da una ragazzina sulla spiaggia della Stella del Sud: “Ma quel ragazzo ha avuto poi una vita sua, è stato bello il suo futuro?”.

Forse non a caso quella ragazzina si chiamava Stella: un’altra da aggiungere alla mia piccola raccolta estiva di stelle di mare.

 

          Rivista trimestrale Nuovi incontri – Torino       Recensioni

a cura di Ornella Pozzi

MESSA ALLA PROVA

di Ennio Tomaselli,

il romanzo di un magistrato

 

Il romanzo di Ennio Tomaselli colpisce innanzitutto per la profonda autenticità: personaggi temi e situazioni comunicano una verità e una vitalità che non possono lasciarci indifferenti,ma che anzi ci coinvolgono e ci inducono a rispecchiarci nella narrazione per riflettere sulle nostre problematiche di uomini e donne, di genitori, di cittadini.

“Messa alla prova” è un affresco della società contemporanea che tratta il tema del disagio minorile, dei ragazzi in affidamento o adottati, a volte con successo, a volte da genitori  che non sono in grado di coglierne le esigenze più autentiche e che proiettano su di loro i propri desideri insoddisfatti.

Ci sono minori strappati da una Giustizia miope e formale alle famiglie d’origine ritenute inadatte a crescerli, e minori abbandonati dai padri naturali e che perciò soffrono l’indelebile trauma della perdita (“un buco nero, un vuoto incolmabile…sospeso fra certo e incerto, vita e morte, senso e assurdo”).

La solitudine di questi adolescenti e il loro senso d’inadeguatezza si traducono spesso in rivolta, il loro comportamento irregolare li spinge ai margini della società e, in alcuni casi,addirittura al suicidio.

Per il giovane Vito, il protagonista della storia, la “messa alla prova” disposta dai giudici del tribunale minorile diventa un percorso di formazione che nasce dall’ appassionata ricerca dei propri genitori d’origine per diventare ricerca di se stesso e del senso della vita, risposta ai propri interrogativi esistenziali.

Il ragazzo approda alla maturità quando, dopo una serie di peripezie, ritrova i propri genitori e, scoprendoli fragili e malati, si accorge che da quel momento egli è chiamato ad essere padre di se stesso, cioè individuo autonomo in un mondo adulto.

Il romanzo di Tomaselli è quindi anche romanzo sulla vita.  L’autore ce lo ricorda spesso, sia attraverso la narrazione in terza persona sia attraverso pensieri e frasi dei suoi personaggi:“La geometria della vita è fatta a modo suo e certamente non è quella di Euclide” o “È la vita che funziona così, al di là di quello che noi chiamiamo bene o male, giusto o ingiusto”.

“Messa alla prova” ha il respiro del romanzo classico di tradizione realistica (non a caso i frequenti riferimenti a “I promessi sposi” e a “I malavoglia”) e affronta temi universali. La “ricerca del padre” è già di per sé tema mitico, che affonda le radici nell’antichità: è presente nell’“Odissea”, per ricomparire in chiave moderna nell’“Ulisse” di Joyce e ne “Il primo uomo” di Camus, tanto per citare alcuni esempi.

Il carattere universale del romanzo come riflessione sulla vita appare evidente non solo nel personaggio di Vito ma anche nei due adulti Moreno e Malavoglia, le cui solitudini si intrecciano con quelle del rotagonista, tanto che i due stringono con il ragazzo una sorta di solidale patto di alleanza, lo accompagnano e lo guidano nelle sue ricerche, vivendo anch’essi in modo sofferto il problema del complesso rapporto tra giustizia e ingiustizia, bene e male, vero e falso. Cancelliere l’uno, magistrato minorile l’altro, pur con personalità completamente diverse, sono entrambi personaggi in qualche modo borderline: non essendo completamente integrati nel sistema,essi sono in grado di proporre un punto di vista alternativosulla realtà, una visione di ciò che è giusto e sbagliato molto più ampia e variegata di quanto non facciano alcuni rigidi detentori della legge fine a se stessa che a volte perdono di vista il senso delle cose. Sia Moreno sia Malavoglia vivono nel mondo della Giustizia come istituzione ma si muovono verso un ideale di giustizia umana e civile superiore al di là delle leggi; al contrario, altri rappresentanti del Diritto spesso non sono in grado di cogliere la peculiarità delle situazioni, il carattere mobile e fluido della realtà e decidono in base a schemi e regole precostituite.

Malavoglia ha ben chiari i principi etici che devono animare le decisioni di un giudice: deve avere, oltre al sapere giuridico,“l’anima e il senso della realtà e del limite”, deve “essere umile”. Malavoglia giunge persino a scrivere, con un pennarello rosso, su una parete di un’aula d’udienza del tribunale, la massima latina “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”. Pur  definendo se stesso “letterato mancato e magistrato fallito”, sente l’esigenza di condividere la propria esperienza in un libro, “Procuratore che farne”, che “è come un diario che però contiene anche qualche messaggio”, “un originale impasto di lessico giuridico e post ideologico…, una contaminazione di problematiche giuridiche e della quotidianità”. Malavoglia è il letterato e il filosofo del romanzo e, data l’età (ha varcatola soglia dei 66 anni), funge anche da “memoria storica” e“guardiano del faro”, come lui stesso si definisce.

Moreno, di tre anni più giovane di Malavoglia, è caratterizzato da comportamenti trasgressivi e a volte adolescenziali.  Ex sessantottino casinista ed eccessivo, burlone con aria da macho, anticonformista anche nell’ atteggiamento esteriore, con barba incolta, zainetto, capelli lunghi e codino (almeno da un certo punto del romanzo in poi) è “uomo libero per natura”. La molla dell’agire di Moreno, “magistrato mancato”secondo la definizione di Malavoglia, è il ricordo cocente di un’esperienza di ingiustizia subita quando, non ancora trentenne,fu espulso dal concorso per la magistratura. Ribaltando le carte la Giustizia aveva quel giorno ritenuto il vero colpevole“immune da colpe… vittima da tutelare”, punendo lui, il cittadino onesto.

Se l’esperienza di emarginazione lo avvicina a Vito, l’aspirazione alla paternità lo accomuna a Malavoglia: Moreno cerca un figlio da amare, Malavoglia è stato segnato da una tragedia in cui ha perso la moglie e il figlio che lei portava in grembo.

Non solo Vito, Moreno e Malavoglia, ma quasi tutti i personaggi del romanzo, dai maggiori ai minori, rivendicano una personale forma di giustizia e intraprendono un percorso che li conduce a un superiore livello di maturità.

Questo accade anche ai numerosi personaggi femminili, appartenenti a culture e contesti sociali diversi, ma accomunati da un’esperienza di sofferenza e di dolore. Anche attraverso di loro capiamo che il titolo “Messa alla prova” non è soltanto riferito a un provvedimento giuridico ma è anche una metafora della vita che continuamente ci sottopone a prove da superare.

Il romanzo si sviluppa nell’arco di sedici mesi tra Torino e Novara, estendendosi per qualche episodio a Parigi e in Lombardia. Il paesaggio è prevalentemente urbano e le sobrie pennellate paesaggistiche e meteorologiche sottolineano il trascorrere del tempo con momenti di intenso lirismo, come quando i personaggi sono colti a guardare dalla finestra o dai finestrini di un tram o le loro solitudini si accompagnano a  quelle del vento che rimane “solo anche lui lungo la strada”.

In questi spazi, che assumono a loro volta il ruolo di protagonisti, l’autore ci presenta un microcosmo dove i personaggi si intrecciano, si incontrano e si scontrano quasi come in un romanzo picaresco, sfaccettato e poliedrico. Incontriamo il mondo dei magistrati e dei giudici, degli immigrati marocchini e rom, degli emarginati e sbandati nella degradata periferia torinese, di coloro che da decenni sono emigrati dal Sud al Nord Italia alla ricerca di un’occupazione, di italiani che ancora si stabiliscono all’estero per sopravvivere. I personaggi non sono tanto descritti dall’esterno quanto mostrati dal di dentro, “rivelati” dai loro monologhi e dialoghi. La pietas dell’autore pervade il romanzo e conferisce a questo mondo di emarginati una dignità quale raramente possono trovare nella letteratura italiana contemporanea.

Dalla trama principale si sviluppano, in un sottile gioco di echi e di rimandi, trame secondarie che richiamano, in modo sempre diverso, i temi principali del romanzo: la solitudine e il vuoto, l’abbandono, l’emarginazione, la ricerca che dà un senso alla vita (Malavoglia: “Se si smette la ricerca finisce,spesso, anche la vita”).

Così dal nucleo centrale del romanzo, che ruota attorno ai personaggi di Vito, Moreno e Malavoglia, si dipanano le storie di Frank tre carte, Rosy e Samantha, di Francesca e Gianni Archibugi, di Ana e Andrej, di Senada e Jovan, di Mounira e Hamza, e altre ancora.

“Messa alla prova” è un romanzo polifonico; leggendolo si ha l’impressione di assistere quasi a un concerto in cui si intrecciano una varietà di voci e motivi: al linguaggio giuridico di udienze e verbali si alterna il registro meditativo, poetico, a volte elegiaco, di Malavoglia, spesso ricco di metafore, come nel capitolo “Navigazioni notturne”, dove Malavoglia riflette sul suo lavoro di “scafista buono” che salva dal “naufragio”traversando “acque inesplorate”, “seguendo carte vecchie e approssimative” ”alla direzione indicata dalle stelle” ”nel Mediterraneo illuminato solo dalla luna”. A questo linguaggio “alto” si contrappone il gergo crudo, colorito e irriverente dei giovani che vivono a contatto con la droga e la criminalità e che hanno vissuto l’esperienza della comunità e del carcere.

Un esempio è Mounira quando apostrofa Vito al primo appuntamento con lei: “Minchiaa….Col tram! E magari hai pure pagato il biglietto! Non hai pensato, cocco bello, di prendere un taxi e poi di buttarti giù al volo mandando il taxista a farsi fottere?”. O ancora il linguaggio ricco di pathos, semplice e quotidiano, di una donna del popolo come Francesca, la madre di Vito: “Questa ingiustizia è così, ti schianta dentro…e così uno rimane come prigioniero. Del senso di colpa, perché ti senti una merda, e del tempo, che passa inesorabile contro di te”.

Non mancano episodi umoristici che alleviano la tensione drammatica di alcune vicende: lo humour nasce dalle situazioni, per esempio quando Moreno si impossessa clandestinamente dei documenti di Clementini (il presidente del tribunale di Giustizia minorile di Novara) o si vendica contro di lui,oppure ancora quando gioca un brutto tiro a Malavoglia sul piano amoroso; o infine quando l’autore strizza l’occhio al lettore nell’episodio in cui Malavoglia presenta il suo libro al pubblico. Lo humour è anche nel linguaggio, come nell’episodio in cui Malavoglia si rivolge scherzosamente a Dio, apostrofandolo come se fosse un vicino di casa: “Non so nemmeno come chiamarti, visto che sei, oltre che extracomunitario,uno e trino, quindi sfuggente e magari capriccioso e testardo come un adolescente”.

Le numerose similitudini sintetizzano lo stato d’animo dei personaggi (“Le parole gli uscivano dalla bocca gelide come panni rimasti appesi fuori, sui fili della biancheria, in una notte d’inverno”), oppure creano un effetto di straniamento,allentando l’impatto emotivo del lettore: “Come se al circo un pagliaccio avesse tirato di botto una finta torta in faccia allo spettatore”; “Non restava che piangere mentre scendeva la neve, come nelle canzonette”; “Era come se la pallina stesse schizzando a suo piacimento sulla roulette della vita”. Spesso le similitudini sono tratte dal mondo sportivo, soprattutto del calcio, o da quello del cinema, e paragonano le vicende dei protagonisti a gare sportive o a scene di film.

Penso che un romanzo non proponga un messaggio univoco ma che i messaggi in esso contenuti possano essere tanti quanti sono i lettori. La dedica di “Messa alla prova” (“Alle ragazze e ai ragazzi che ho incontrato nel mio lavoro”) ci offre una chiave di lettura, parlandoci dell’affetto e del coinvolgimento personale dell’autore, che è magistrato, ma anche uomo sensibile e partecipe, che ha svolto la sua professione con impegno e passione.

La lettura di questo romanzo, oltre al piacere che sempre comporta leggere un libro che coinvolge, ha significato acquisire consapevolezza di problemi e situazioni spesso conosciuti poco e solo marginalmente.

In una società come la nostra, che tende a considerare i più deboli come un’anomalia da ignorare, se non addirittura da disprezzare, “Messa alla prova” è importante per capire che, come cittadini consapevoli di una società civile, non possiamo non ritenerci almeno in parte responsabili di ciò che accade intorno a noi.

Videoclip:

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“Intanto il treno, pur arrancando nella campagna fradicia di pioggia, era ormai in vista di Novara.” (Messa alla prova, Lato arrivi, p.22) 

“…ma solo essere lì gli consentiva di farsi beatamente abbagliare da quella luce intensissima e di ammirare l’ordine di quei campi ben coltivati e i colori dei fiori nei giardini delle case […] non era il Paradiso terrestre, ma raramente aveva provato sensazioni così dolci” (Messa alla prova, Serena, p.182).

 

Novara e Asti: città diverse ma con molti elementi comuni nella loro storia. Città romane, hanno sperimentato le lotte comunali e la difficoltà di destreggiarsi tra i signori del momento, per poi entrare entrambe, per vie differenti, nel dominio dei Visconti e, successivamente, dei Savoia. Nella storia più recente, anche due territori di Repubbliche partigiane a cui tutti dobbiamo molto.

Ma non volevo fare una lezione di storia; che d’altronde era, almeno ex cathedra, materia di mia moglie e non mia.  Anch’io, come i personaggi di Messa alla prova, mi sono avvicinato a quei territori guardandoli da un finestrino. Sotto la minaccia del temporale, tra le risaie già gonfie di pioggia verso Novara; sotto il sole cocente della prima estate nella campagna di Asti. Ho cercato, per qualche ora, di condividerne le atmosfere.

Ho portato, infatti, i personaggi di Messa alla prova in trasferta anche lì e devo dire che si sono trovati benissimo. Del resto, quel viaggio, alcuni di loro, l’avevano già fatto…

A Novara hanno avuto anche l’onore di entrare con me nello storico e illustre cortile del Broletto e al Circolo dei lettori sono stati circondati dall’ interesse amichevole e dalla condivisione partecipe del pubblico. Del resto Novara, con il suo Palagiustizia ai margini della città, ritorna spesso nelle pagine del romanzo: è una Novara vista come punto d’arrivo/partenza di itinerari pendolari, come luogo di incontri, anche come punto fermo di decisioni e di ripartenze di vita nuova.

Asti compare nel romanzo come il territorio quieto delle villette e dei giardini in cui Serena, la sorella di Vito, ha costruito la sua nuova esistenza, operosa e apparentemente appagata.

Io autore, invece, ho salito i gradini dello scalone seicentesco del Municipio e ho ammirato la sala Platone, affrescata, dove un tempo fu amministrata la giustizia ma anche dove le lotte contadine diedero vita a fine ‘700 alla breve e gloriosa “Repubblica Astese”. Oggi è intitolata al partigiano che fu il primo sindaco del dopoguerra.

Ancora una volta, in differenti scenari e ambientazioni, ho trovato l’accoglienza e l’interesse di tanti operatori, che già avevano letto il libro o che lo volevano conoscere avendo percepito che vi avrebbero ritrovato anche la loro realtà ed esperienza.

Certamente una fiction, quale è un romanzo, rappresenta e racconta, non fotografa. Forse riesce, però, a comunicare i sentimenti, oltre alle emozioni, di chi nelle storie e nelle vite degli altri deve entrare e operare per dipanare matasse o per spianare qualche piccolo sentiero di speranza.

Ancora una volta, nel mio peregrinare letterario sono stato confortato da una grande empatia per i personaggi o, senz’altro, per il loro autore. Il che mi conforta tantissimo perché in controtendenza rispetto all’ordinaria, crescente, difficoltà di entrare in contatto, di avere condivisioni autentiche e non virtuali, di entrare nelle storie in modo congruo rispetto alle necessità, di affrontare insieme, istituzioni e comunità civile, soprattutto il crescente disagio di giovani e adolescenti.

Un disagio preoccupante, che indubbiamente ci chiama in causa, come adulti prima ancora che come operatori. E allora è proprio vero, reale (ma dentro di me lo sapevo già…), che dobbiamo “andare in prima linea” e metterci alla prova tutti, uscendo da schemi o percorsi consolidati nel tempo e nelle abitudini, per essere in grado prima di vedere e poi di affrontare i nuovi problemi.

Per me scrivere Messa alla prova (e andare a proporlo in tanti luoghi differenti) ha rappresentato certamente un segnale concreto in questa direzione. Spero che il mio sforzo coinvolga e aiuti altri, come mi è stato detto, a “trovare in un racconto il coraggio per nuove storie”. Nuove storie supportate certamente dall’impiego di nuove risorse e intessute di nuove esperienze; ma con la garanzia dei piccoli successi che nascono da tutte le speranze quando sono davvero condivise.

“Messa alla prova”   4 maggio ore 11        CAFFETTERIA DEL TRIBUNALE  c.so Vittorio Emanuele II 130

Ḗ un bel titolo per questa rassegna del Salone off. Non solo perché si adatta bene al mio Messa alla prova, ma perché, conoscendo qualche altro autore e libro, penso che davvero si possa approfondire l’argomento, non sempre considerato adeguatamente, delle persone e delle vicende “impigliate”, appunto, “ai limiti della legalità”.

Persone, come si racconta in questi libri, che vivono esperienze di istituzionalizzazione, prigioniere prima di tutto di se stesse e delle proprie scelte; o i bambini e i ragazzi, già sofferenti e deprivati, che hanno sperimentato dolorosamente sulla propria pelle, sino alla fine degli anni ’70, l’incapacità della scienza e delle istituzioni di prendersi davvero cura di loro.

Perché i limiti della legalità sono le necessarie barriere delle regole del vivere comune, ma ci sono pure i limiti, anche delle istituzioni, nel voler/poter conoscere davvero le persone che hanno variamente “a che fare” con le istituzioni stesse. Credo, insomma, che da questi libri emergano storie della più varia umanità, secondo punti di vista, anche “dall’interno”, che dovrebbero contribuire a scalfire pregiudizi e luoghi comuni.

Considerando le cronache di questi tempi/giorni, con episodi variegati di violenza nella sfera pubblica e privata a tutti livelli, smantellare il pregiudizio sembrerebbe impresa quasi impossibile: tali fatti alimentano, purtroppo, la strategia della tensione sociale, nutrendo schiere di haters virtuali e reali, che incrementano il numero dei followers dei portatori delle risoluzioni “forti”.

Ci sarebbe da scoraggiarsi, ma fortunatamente siamo anche “freschi” delle riflessioni fatte in questo ultimo 25 aprile. Una festa, quest’anno, nel vortice delle polemiche come non mai, ma come non mai portatrice di obiettivi chiari e a portata di mano: spendersi per qualcosa di giusto, buono per tutti e per ciascuno, senza perdere più tempo e senza esitazioni.  Da che parte stare, nuovamente, oggi, mi sembra facile da capire.

Quel “Non è questo il paese che volevamo”, detto da Carlo Smuraglia, presidente onorario ANPI, nella orazione ufficiale del 25 aprile nella mia città, è risuonato e risuona in tutte le coscienze che hanno voluto accoglierlo: un giudizio storico doloroso, ma anche un invito appassionato a nuove assunzioni di responsabilità.

Perciò, nella nostra realtà quotidiana, “giocare”, talvolta, “ai limiti della legalità”, cercando di superare quegli scogli normativi che possono racchiudere il germe di concrete ingiustizie, può significare “fare la differenza” e iniziare a tracciare un solco di ritrovata umanità.